Alessandro,Giggino
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Pronto, papà.
Qui non c'è da inmaginarsi la prima volta che mio figlio dirà 'mamma!'.
Magari in un turbinio di coccole sul letto, con gli occhi dolci e una carezza in più, o magari tutto incazzato perché l'ho poggiato un attimo per terra che dovevo correre a fare pipì.Ma c'è da fantasticare sulla prima volta che mio figlio dirà 'nonno!'.
Sarà allora che qualsiasi fatto accaduto durante il lustro precedente non avrà storia, anche se sui libri di storia è riportato.
Sarà allora che mio padre, il nonno di cui sopra, diventerà definitivamente nu strunz.
È stato un percorso deciso, ma graduale. Ha cominciato a rincoglionirsi quando, ormai al sesto mese, la mia pancia era evidente. E allora mi portava cibo, quello che secondo lui avrebbe fatto bene al nano. Quando il pargolo è nato è stata un'ascesa al rimbambimento senza soluzione di continuità. Ogni giorno in clinica per tre giorni, a scattare foto oltre il vetro che lo separava da Alessandro; tornata a casa si sarebbe volentieri accampato in una canadese, pur di vigilare ed essere sicuro che andasse tutto bene. Ma visto che non ha potuto farlo, ha preso a chiamare tre o quattro volte al giorno. La telefonata è più o meno sempre la stessa: "Ha mangiato? Ha dormito? Tutto a posto? (Dove per 'tutto a posto' s'intende: piange? Gli manca qualcosa? Glielo porto io?)".
A me, ovviamente, manco un fetentissimo come stai, ma vabbè. Ogni volta che corre per venire a stare col piccolo si presenta nel peggiore dei casi con le arance che devo mangiare 'perché fanno bene a lui'. Altrimenti con un cappellino, una tutina, un paio di calzini.
"Papà ma non spendere soldi. Questo cresce a vista d'occhio. Una cosa mò gliela metti e mò la devi togliere di mezzo che è piccola."
A mio padre ho dovuto quasi fare acqua e zucchero: "Ma non gli piace?"
Eh, son cose.
E infine: "Senti, ma oggi piove. Perché non ce lo porti domani?"

