giovedì 18 agosto 2011

Le perle di Giggino.

«...Io non li sopporto quelli che se vanno al Bar, chiedono un cornetto in coppia e poi se lo fanno spartere due parti millimetriche e se lo mangiano a metà per uno perchè così sono convinti che non ingrassano. Oppure quelli che chiedono il cornetto integrale o vuoto. Ma che sang' 'eddie! Ma magnatill'! Il cornetto integrale è nu sciacquapalle, diciamocelo. Nun sap' e nient'. O te lo magni o non te lo magni. Poi ci stanno quelli che la pizza se la fanno fare senza olio. Ma che senso ha? La pizza deve grondare grasso, ti deve colare l'olio da mano, ti deve far arrecriare! Che sfaccimm' t'a magn' affà? Per compagnia? E tanto vale che ti fai fa' 'na nzalatell', no? Poi ci stanno i peggiori e li vedi solo d'estate: quelli del gelato assaggiato. Li incontri in gelateria che tu stai già con il megacono in mano, pieno, pieno, e loro fanno avanti e indietro guardando i gusti. Scelgono il cono più piccolo o, ancora peggio, il cuppetiello, e praticamente due cucchiaini a testa e è fernut' tutt' cos'. Li schiaccerei sotto le scarpe. Ma chella maronn' e chi t'è stramuort', ma fa caldo, s' schiatt', ma magnatill' san'! Capisco che poi non è che ti puoi mangiare un capretto sano, però quando torni a casa ti fai una bella insalata di pummarole col tonno e stai apposto, no? Invece no! Si mangiano un assaggio di gelato, che il resto gli rimane tutto di desiderio, e poi ti dicono che stanno a dieta. Mò a quelli del gelato, della pizza, del cornetto e tanti altri io vorrei dire che capisco la dieta, perchè non è che si deve andare di lavanda gastrica tutti i giorni... ma quando decidi che ti devi scassare, devi tornare a casa a quatt' zamp', non ci stanno santi! E figlio caro! Qua già facciamo una vita di merda. Se non magni e magari non ti fai nemmeno una chiantella, che cazz' camp' affà?»

Registrate questa massima di vita. Mentre l'ascoltavo annuivo nervosamente, tipo tic. Sono d'accordo su tutto. 

Intanto vi comunico che, in merito al sondaggio, la risposta che ha ricevuto il maggior numero di preferenze è stata: "
Voglio la verita', quindi non do pareri. Scrivi tu, io prendo le patatine."
La verità è che siete dei pigri di merda e vi sfasteriate di pensare.
Ma comunque, essendo io una persona di parola, racconterò la fine della storia da quì a breve. Appena non c'ho un cazzo da fare.
Per ora statevi bene.
[...]
[...]
Dimenticavo: Giggino è mio padre.


domenica 14 agosto 2011

La macchinetta che fa i complotti

In questo momento la più forte sensazione è il rimpianto.
Rimpiango di non aver avuto modo di filmarlo con l'iphone, di non aver quindi piazzato il contenuto su youtube e di non aver mostrato al mondo quanta segatura di capa gloriosa c'è a Napoli.

Giusto perchè dobbiamo ammazzare il tempo domenicale, pre ferragostano, caldo, pigro, guallerotico e anche quello che deve trascorrere prima di pubblicare i risultati del sondaggio, volevo dire che io sto a Napoli e che me la sto veramente godendo, la città.
E' bella, solitaria, assolata, silenziosamente assordante.
Sembra una signora pigra che sta alle terme e non ha nessuna fretta di uscirne.

Ieri sera decidiamo che vogliamo andare a mangiare fuori. Perchè una bella cenetta a base di mozzarella e pummarole ce la meritavamo; perchè essere serviti e riveriti è bello, ma è ancora più bello quando coi camerieri ci fai amicizia, li chiami per nome, chiudi con loro e prendete il caffè insieme, e anche perchè la salumeria di fiducia è in ferie e abbiamo esaurito le provviste che c'erano in casa. Usciamo, bivacchiamo per il centro storico (neanche tanto deserto, la verità?) e pensiamo che forse era giusto prelevare qualcosa. Un tizio occupa la macchinetta elettronica sputasoldi e intanto sbatte i cazzotti sulla scritta luminosa gialla che sta in alto.
Cicciobombolone ed io guardiamo la scena e capiamo subito di essere arrivati a teatro, senza passare a pagare il biglietto.

Il tipo parla con la macchinetta: «Eh. Te l'agg' dat' a cart', mò che bbuò?»
La macchinetta gli chiede il codice PIN. Lui risponde: «Mammt'!»
La macchinetta gli dice che l'operazione è in corso. Lui: «Pat't!»
La macchinetta gli chiede cosa intende fare. Se prelevare, effettuare una lista movimenti, un saldo o altro: «Non ho capito che cazz' vuò? T'ho dato la carta, t'agg dat' o pinnechitestramuort, mò e sold me bbuò rà?»
La macchinetta insiste, ferma nella sua richiesta digitale.
Il tizio insiste a sua volta: «Allora nun ce simm' capit?! Mi devi dare i sordi! Quelli so' i sordi miei, mm'occ a chella bucchin' e mammt'! Nossonosordituoi! Dammeli!»
La macchinetta, stanca di aspettare, gli dice che il tempo a sua disposizione è finito e che deve ritirare la carta.
Lui ha una reazione brusca, quasi violenta. Come se si fosse sentito tradito comincia a prenderla a calci, bestemmiandole i morti. Ma non si arrende. Quando la macchina lo invita a reinserire la carta lui lo fa, ma l'avverte: «Si stavota nun me daje e sord te scass, quant'è veroddio, capì?! Quassopra ci sta il mio stipentio! Cistanno tremilaeuri e tu nottelitevitenere, bucchina!»
Si ripete ovviamente la stessa scena già vista. La macchina chiede il PIN all'avventore, lui lo digita imprecando cristi e madonne, la macchina gli chiede cosa vuol fare e lui non si capacita del fatto che non gli ha ancora sputato fuori i suoi soldi. A questo punto, la liberatoria frase clou: «Mannagg' a chella maronna 'nfam! Io agg' semp' fatt' e rapin', mò aggia a ve a che ffà cu sti strunzat! Ma vir' che tarantell'!»

Ormai io ero con le lacrime gli occhi, veramente. Il tizio si accorge improvvisamente di essere osservato e si avvicina a noi con aria furtiva e sospettosa. Poi chiede a cicciobombo: «Sentit' dottò, vuje che tenete la faccia intelligente [] mi sapete dicere comm' sfaccimm' aggia fa a piglià e sord a ccangopp?! Ci sta lo stipetio mio, qquassopra! Ci stanno cinquemilaeuri (ma non erano tremila?) e io aggia campà, mi servono!»
Il compagno, diplomaticamente: «Ma guardi, sarà un disservizio dovuto ad un sovraccarico della rete...Provi più tardi...» Il tizio lo guarda con la faccia schifata, come se quelle parole fossero state, in realtà, una serie di insulti alla sorella nata da padre magrebino. Intanto però gli dice che sì, riproverà più tardi, ma altrove. Perchè: «...Quell'è la macchinetta che nommivuole dare i soldi, se li vuole tenere lei, perchè è una stronza e fa i complotti per non darmi i miei ottomilaeuri


lunedì 8 agosto 2011

Io e il rapinatore - Prima parte

Sai quando stai camminando e ti senti osservato, seguito? Che se ci pensi quella sensazione ti fa pure sentire un coglione perché magari non c’è nessuno che ti osserva, né qualcuno che ti segue ma tu quella sensazione ce l’hai e allora ti volti in continuazione giusto perché, se è una cosa, è bello avere ragione. Anche per godere se poi, a te stesso, puoi dire: “Visto? Io te l’avevo detto!”
Ecco, così. E nutri il tuo ego immaginario fatto di confusione, scarsa autostima e demenza, fondamentalmente. Ti lasci andare alle parvenze di perfezione, cominci a pensare di essere ‘uno buono’. Alle suddette si aggiungono le perfette perversioni, però, se una cosa così ti succede a Napoli. Metti che stai camminando per i fatti tuoi in una strada, di sera.  Che non indossi qualcosa che possa attirare l’attenzione di qualcuno, che stai comunque stanca e sfasata perché hai da poco finito di allenarti e che di tutto puoi aver voglia (io con la parola tutto identifico il letto dopo un’ora di sacco pesante), tranne che di litigare con la gente, ascoltarla polemizzare. Cioè una cosa tipo che quando hai finito di sentire il rumore della doccia, vorresti che il mondo si mettesse in pausa, una specie di stand by solidale. Pure le opinioni intelligenti ti danno fastidio, pure quelle che vengono dette da persone intelligenti, pure le richieste ordinarie tipo prestare l’accendino, una penna, se sai che ore sono. Insomma, nun vuò avè a che ffà cu nisciun e sei contenta così.
E inutile che sbuffate e fate finta di girarvi con la testa dall’altra parte. Lo so che anche a voi è capitato di sentirvi così. 
Comunque quella volta io così stavo: sospesa tra il se, perché, mah, vafancul’. E camminavo in direzione di piazza Vanvitelli, popoloso luogo dove avrei atteso il mio cavaliere senza testa venirmi a prendere per poi portarmi a casa e consentirmi di buttarmi a peso morto sul talamo, unico oggetto del mio desiderio. Tornando all’inizio, mi sentivo seguita. E non è che diedi tempo o dubbio alla mia sensazione. No. Io avevo ragione e sapevo di averla e volevo goderne subito.
Mi voltai e vidi uno che camminava dietro di me, poco distante. Qualche minuto dopo mi voltai nuovamente e questo tizio sempre dietro di me stava. Non un passo in più, non uno in meno rispetto a poco prima. “Mò io lo voglio pure capire che la strada questa è, - pensai – però chist’ putess’ pure accelerare il passo, attraversare e andare dal lato opposto, avere una sincope, un coccolone, svenire…”  Continuai a camminare ignorando i pensieri che m’ingombravano la testa (avete fatto caso, a volte, a quanto siano invadenti, i pensieri? Cioè quanto più cerchi di non pensare a una cosa, tanto più ti ci fissi sopra.), o almeno facevo finta, finché poi non decisi che quella ragione che sapevo di avere la dovevo toccare  per sentirmi bene. La dovevo guardare in faccia. E mi fermai fingendo di cercare le sigarette nello zaino, solo per vedere se si sarebbe fermato pure lui. Il tipo incolla e fa l’aria dello spaesato se lo guardo. “Vabbè, è confermato. Questo mi sta seguendo.”  D’istinto mi poteva pure venire di afferrare il cellulare e chiamare i carabinieri, ma che cazzo andavo a dire? Che c’era un tipo che in base ai miei sospetti mi stava seguendo e che loro dovevano avvisare come minimo l’esercito e farlo intervenire con un mezzo corazzato per annientare quel pericolosissimo latitante sanguinario, altrimenti quello mi avrebbe costretta per mesi a rapporti contro natura e a nasconderlo dandogli pure da mangiare?
Non sarebbe stato credibile, vi pare? Considerando soprattutto che il soggetto in questione avrebbe potuto ascoltare la telefonata e vivere poi di risate alle mie spalle, che magari prima s’era fermato solo per fatti suoi. Decisi di sbrigarmela da sola, rallentai, il tizio mi raggiunse e quando era poco distante da me m’uscì così, come se fino a poco prima la frase che ho poi pronunciato fosse stata bloccata tra lo sterno e lo stomaco. Come un rutto dopo un bicchiere di birra: 
«Scusi, ma lei è un rapinatore?»
Il tipo sgrana gli occhi, manco gli avessi chiesto se la mamma era quella che faceva le marchette con mia sorella nel 1993 (sono figlia unica.).
L’orgoglio professionale però prevale, cambia sguardo e mi dice con aria ancora un po’ confusa:
«Veramente sì. Pecchè?!»
«Perché è meglio saperle subito, certe cose. Sei armato?» Comincio a dargli del tu, così il tipo si scioglie e entriamo in confidenza mentre continuiamo a camminare, in salita.
«Teng’ a mullett», precisa lui tra un fiatone catarroso e l’altro mentre lascia tra le labbra consumarsi una sigaretta dalla marca ormai indecifrabile, ridotta ad un mozzicone. Io odio le armi da taglio. Mi fanno parecchio innervosire, ma questo al mollettaro non lo do a vedere, per non irritarlo. Un calcio in faccia che pure avrei potuto assestargli se m’avesse detto culo, non è esattamente come una coltellata nella panza. Visto che il mio obiettivo era quello di farci amicizia, fingo l’opposto. Smisurato interesse per coltelli, maceti e altre stronzate simili.
«Ah, si? Ma c’ha il manico in avorio? Com’è fatta?», chiedo.
Lui, riprendendo fiato e cercando di restare serio:
«Jamm’ bbell’, jamm’. Io non tengo tiempo da peddere! Dammi quello che tieni addosso.»
Non nascondo che mi è preso un po’ il panico e mi sono sentita un’idiota, visto che avevo cercato pure di farmelo amico a ‘sto stronzo!
«Ma dai, stai calmo, oh! Mica voglio far perdere tempo alla gente, io! Sono una rapinata seria, io! Che ti credi? Comunque ho 10 Euro. Facciamo a metà?»
«Iccellulare noccelai?» , mi chiede.
«Quando vado ad allenarmi non lo porto mai.» , rispondo.
«Ah. Ma allora tu sei uscita dalla palestra che sta qquaggiù? Quella dove si fa bocs?», chiede lui incuriosito facendo caso alla scritta sulla maglietta che dice più o meno così: ‘Full contact fighter. Karate, kick boxing, muay thai. Mr. S. I. – le iniziali del mio maestro – via tal dei tali Napoli’.
«Si e sto stanca. Li vuoi ‘sti 10 Euro? Guarda rinuncio pure al caffè, ma questo tengo. Mi fai vedere la molletta?», chiedo per prendere tempo.
Lui alza gli occhi al cielo, chiedendo al pataterno se era stato effettivamente lui a venire da me o se lo stavo importunando io. La tira fuori e mi mostra orgoglione una cosa che avrà avuto la lama da 22 cm, col manico scuro e la sicura inserita. (Ho detto che non amo le armi da taglio, mica che non le conosco…)
«Uà, bella! – dico con gli occhi fintamente sgranati e l’espressione falsamente sorpresa. – La fai scattare? Vorrei vederla aperta…»
Lui, ormai prigioniero in una spirale di presunzione di plastica e osso pieno, spegne completamente il cervello e da sfogo alla sua totale inesperienza. Prova ad aprirla, ma non ci riesce. Una, due, tre volte. Niente. La cosa non scatta.
«Ma che è, rotta?» dico evitando di ridergli in faccia.
«NonèpoTTibbile. L’ho comprata aieri!»
«Ma dove l’hai presa?», fingo interesse.
«Da mano a mio cuggino», dice deluso.
«Vabbè, dai. Non importa.» – dico d'un fiato per levargli quella cosa da mano prima che potesse accorgersi della figura di merda fatta e, dal nervoso, schiattarmela nell’intestino crasso. Per intanto eravamo arrivati a piazza Vanvitelli, luogo dove contavo di trovare già il cavaliere ad aspettarmi. Appuntamento del quale il rapinatore non era certo a conoscenza. La sola speranza che aveva di potersi fare una cosa di soldi per la serata è stata calpestata da una coltello, diciamo, rotto e ulteriormente sfrantummata quando gli ho mostrato il portafogli, contenente davvero solo 10 Euro. La sua faccia triste mi ha quasi fatto pena. Aveva quasi gli occhi lucidi e cercava di nasconderli guardando da un’altra parte. Li puntava ovunque, ma non sulla mia faccia.
Io che sono nata col difetto suicida della curiosità e della compassione verso il prossimo (se dite quest’ultima cosa a qualcuno vi scanno dove state, state, ve lo giuro…) gli metto una mano sulla spalla e faccio:
«Oh…» come a consolarlo. A lui scappa una bestemmia in aramaico e quando sta per cominciare a parlare arriva il cavallo su due ruote che mi porterà all’agognato castello dove, finalmente, dormirò il sonno dei giusti. Però…

…Però mò io voglio andare a leggere un libro coi miei tre gatti, sul letto. Continuate voi. Nel sondaggio sotto riportato ci sono diverse soluzioni circa la fine della storia che avete appena letto. Votate e vediamo che ne esce fuori. Questo fatto durerà 5 giorni (o anche una settimana, se avrò di meglio da fare) e la soluzione che avrà riscosso il maggior numero di preferenze verrà certamente pubblicata. Con l’effettivo finale della vicenda che potrebbe anche essere riportato tra le varie. Se non voterete non saprete mai com'è andata a finire e verrete mangiati dalla smania, divorati dalla curiosità. Vi uscirà il fegato da bocca e lo stomaco canterà Lacrime napulitane.
















































La riposta e' dentro di te. Che pero' e' sbagliata.


Il rapinatore e' il famoso cicciobombolone ed e' cosi' che ci siamo conosciuti


Ho scoperto un lontano rapporto di parentela col rapinatore ed e' arrivata Raffa a fare Carramba


Mi rompo il cazzo di rispondere al tuo sondaggio di merda. Finisci di scrivere, stronza!


Il rapinatore mi ha pregato di rapinarlo, pur di liberarsi di me


Il rapinatore ed io siamo diventati amici e ho anche fatto la commara ai figli al battesimo


Il rapinatore ha detto che se continuavo a parlare chiamava i carabinieri


Il rapinatore e' finito a terra tramortito da uno dei miei cazzotti e si e' scoperto masochista


Voglio la verita', quindi non do pareri. Scrivi tu, io prendo le patatine.


  

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lunedì 1 agosto 2011

Rivelazioni

Tu cammini con fare indifferente e passo spedito ma non troppo (che trascinarsi due cagnoni tanto grossi quanto pigri, non è una cosa molto elegante) cercando di ignorare una strana sensazione di calore che senti dietro di te, accompagnata da un "bruummbruum!" di fondo. Continuo. Incessante. Straziante. Incazzante.
Ti giri e vedi che è un motorino e che l'appena nominato mezzo a due ruote reca insullasuasella un giuovin signore, che ti sta appresso a passo d'uomo.
Fingi ancora indifferenza e prosegui per la tua strada, cercando di evitare di pensare sempre al peggio (leggasi rapina, scippo, strascino, recupero crediti eccetera...), ma poi ti ricordi che stai a Napoli e che pensare preventivamente al peggio ti conviene sempre.
Continui a camminare come continua e si fa anche più insistente il "bruumbruum!".
Un passo, due passi, tre passi, quattro passi e "bruumbruuum!"
Un passo, due passi, tre passi e "bruumbruuum!"
Un passo, due passi e "bruumbruuum!"
Un passo e "bruumbruuum!"
La tua intolleranza comincia a sgorgarti in abbondanza da ogni buco possibile.
Realizzi, poi, che la strada nella quale stai camminando (e nella quale abiti) è occupata in entrambi i lati da auto in divieto di sosta, tricicli parcheggiati senza catena e carrozzine lasciate al ludibrio dei poveri e pensi che forse quello che ti segue, con te che porti a spasso 100 Kg di cane in totale, più o meno regolarmente suddivisi tra destra e sinistra, non riesce a passare.
Che, poverino, sta cercando un varco ma non riesce.
E che educatamente sta aspettando i tuoi comodi per poi proseguire silenzioso.
Allora ti giri e dici al suddetto brummatore:
«Scusa, ma se non riesci a passare dimmelo che mi sposto...»
Lui: «No, no! Cammina, non ti preoccupare. Non mi far passare avanti. Tu tien' stu cul'!»