Erano giorni che non mi cagava neanche di striscio. Il bacio di mattina poco prima di uscire c'era sempre, ma tra l'abitudine e l'intenzione c'è la differenza di un baratro. Poi quelle labbra sulla guancia non le sentivo neanche più tanto erano spente. Alcune volte sarebbe stato meglio ricevere uno schiaffo, un pizzicotto forte, uno spintone. Qualcos'altro che però poteva permettermi di sentirmi viva, sentire che ancora gli fregava qualcosa di me nonostante la monotonia dei sette anni passati insieme. Già, sette. Troppi se di noia. Io sono sempre stata una tollerante, mi adeguo con molta facilità alle situazioni. Aderisco camaleonticamente alle persone, ma l'ultimo periodo proprio non lo reggevo. Anche a cena era diventato pesante, insopportabilmente apatico e silenzioso. Ma non di quel silenzio che ti fa pena o tenerezza. Di quello che ti da sui nervi tanto che prenderesti la padella colma di olio bollente e gliela suoneresti in testa. Se spiccicava qualche parola lo faceva per lamentarsi della giornata. Problemi, problemi, problemi. Non che voglia sembrare superficiale, ma porca pipetta! Ho meno di 30 anni e sto soltanto facendo da infermiera se lui sta male o da sacco vuoto da riempire se ha da sfogarsi per qualcosa. Anche se ultimamente neanche quello più accade. Ho provato tanto a spronarlo a vivere. Ho perso il conto di quante occasioni abbiamo perso e quante volte gli ho proposto di uscire. Che ne so, una pizza, un cinema, una birra al centro storico, semplicemente due passi. Ma lui niente. Un marmo. Tornato a casa s'infilava le pantofole, accarezzava il cane e l'unica domanda che mi faceva era: «Tra quanto si cena più o meno?» Da ingegnere considerava qualsiasi opzione tecnicamente valida e quel 'più o meno' per me era diventato come un mattone suonato tra naso e denti. Racchiudeva tutta la mancanza di considerazione che aveva per me, visto che ogni giorno quando lo sentivo attorno all'ora di pranzo, gli dicevo già cosa avevo intenzione di cucinare per la cena o se avevo pensato di mangiare una pizza. Quindi sapeva anche se avrebbe già trovato o meno il piatto pronto. Ma era puntualmente come parlare con un muro di gomma. Di quelli che al momento ti ascoltano, ma che poi ti ritorcono contro le cose come un boomerang. Ho provato con calma e gentilezza a fargli notare che se non si emozionava più per le cose forse ce ne erano altre che non andavano, gli ho detto in più occasioni che il suo non era un atteggiamento normale. Lui mi ascoltava, anniuva e poi piazzava nuovamente lo sguardo sul giornale, sul Pc o la televisione. Come se io non avessi parlato affatto. Per un periodo ho anche cercato di capirlo, immaginando una stancante giornata lavorativa, piena di pensieri, di cose da fare, problemi da risolvere e cominciai seriamente a sentirmi una stronza egoista che invece vorrebbe uscire, divertirsi mentre lui pensava sempre e soltanto al mio e al suo sostentamento. «In effetti, materialmente parlando, non mi fa mancare nulla» pensavo. Più mi convincevo di questo, più mi accorgevo che mi stavo spegnendo. Stavo diventando arida di emozioni e vedevo la mia vita desertificarsi. Sentii suonare il campanello d'allarme quando a letto lui mi augurava una pigrissima buonanotte si voltava dall'altra parte e cominciava a ronfare, ed io ne ero felice. Anzi, non felice. Indifferente. L'indifferenza uccide e io stavo ammazzando me stessa. Iniziai quindi a rivalutarmi come donna, a valorizzare pregi fisici e a neascondere i difetti provocandolo in qualsiasi maniera possibile, anche oltre la decenza ma da parte sua non c'era interesse: continuava a voltarsi dall'altra parte per dormire senza notare nè il completino nero, nè le autoreggenti, senza sentire il profumo che indossavo. Niente. La parola che camminava a braccetto con l'uomo che mi stava accanto era niente. E prima che si appropriasse anche di me dovevo fare qualcosa. Sperai allora di avere una rivale e frugando tra le tasche delle giacche contavo di trovare qualcosa, una prova del suo adulterio. Ne sarei stata contentissima. Meglio sapere di essere cornuta che essere consapevole di convivere con un cadavere! Non trovai nulla. Nè una ricevuta, nè una saponetta d'albergo, nè un bigliettino da visita. Niente di niente. Delle due l'una: o non aveva lasciato tracce oppure l'altra donna era esistita soltanto nella mia testa. Decisi di mollarlo. Ricordo che quella mattina feci varie prove davanti allo specchio per provare a recitare il discorso che m'ero preparata il giorno prima, ma un po' mi dispiaceva lasciarlo. Del resto ero anche stata felice con lui i primi tempi, quando si faceva l'amore e nient'altro, quando avevamo sogni, aspettative, progetti che sono rimasti soltanto parole. La sera, come ogni sera, lui tornò a casa. Presi coraggio e fui proverbialmente sottile quanto al 95ma barrata: «Ti lascio. Da questo momento in poi non stiamo più insieme. Vado a vivere da un'amica, ho già organizzato tutto e ho le borse già pronte. Ti ho lasciato la cena in forno. Devi soltanto riscaldarla.» Mi aspettavo rabbia, dolore, disapprovazione, preghiere tese sulla porta mentre cercava di ritirarmi in casa, dichiarazioni d'amore in ginocchio che mi avrebbero fatto sentire una latrina sporca...macchè. Si limitò a dire: «Beh, mia cara...Se non ci stai più bene qui non posso trattenerti.» E mi sferrò un altro cazzotto anche se me ne andai con la convinzione che mi avrebbe chiamata. Sì, certo. Mi avrebbe svegliata nel cuore della notte supplicandomi di tornare, dicendomi in lacrime che gli mancavo. Me lo sarei visto sotto la finestra con un complesso neomelodico al seguito mentre lui stesso mi cantava una serenata romantica. Ne ero certa e varcai la soglia senza voltarmi indietro: sarebbe stato lui a chiedermelo con gli occhi pesti di una notte insonne! Passarono i giorni, le settimane. Fissavo il cellulare che squillava soltanto quando mi telefonava mia madre per chiedermi se mi mancava qualcosa e se stavo bene. Lui no, mai. Neanche per sapere come procedeva nella nuova casa, come stavo da single dopo sette anni. Nulla, mai un cenno di vita. Trascorsero lentamente sei mesi prima di incontrarlo di nuovo. Per caso, come la prima volta. Solo che non eravamo nello stesso ristorante, ma nello stesso centro commerciale per fare un po' di spesa. Lo vidi trafugare tra gli scaffali. Guardare i prodotti con aria stanca e scegliere quelli che avrebbe scelto anche mesi prima. Gli stessi che compravo io anche se neanche me lo chiedeva più. Io sapevo. Lui sapeva che io sapevo e andava così. Feci qualunque cosa per farmi notare. Dopo tutto doveva essere lui a salutarmi per primo! Gli andai distrattamente incontro guardando da un'altra parte, facendo appositamente urtare i carrelli. Mi salutò quasi come se nulla fosse, ma accennò un sorriso: l'unico dopo tanto tempo. Gli chiesi come stava e se aveva ripreso in mano la sua vita, anche dal punto di vista sentimentale. Mi disse che non stava con nessuna e che era rimasto da solo da quando me ne ero andata. Mi fece un po' tenerezza. Lo immaginai seduto a tavola da solo a mangiare qualcosa di precotto, insipido, col piatto colmo di nostalgia. Mi diedi della puttana, tornata a casa. Guardandomi allo specchio mi domandai dove volevo arrivare con la libertà che avevo riconquistato, che cazzo speravo di ottenere e feci un bilancio. Mi sentivo sola con la mia libertà? Avevo effettivamente concluso qualcosa? La verità è che mi sentivo più sola di prima e rivederlo me lo fece capire nitidamente. Come quando hai il sospetto di qualcosa, poi questo qualcosa accade e hai l'illuminazione. Ero stata una stupida e poi magari lui era anche cambiato durante la mia assenza. Dindin! Dindin! Sms - Paolo: "Una birra in centro? Ce la fai tra un'ora?" Ecco, era cambiato. Era forse ritornato quello che conoscevo, che prendeva l'iniziativa, che era brillante e divertente. Quello del quale mi ero innamorata sette anni prima. Forse era stato il lavoro a renderlo noioso e apatico, ma quando accettai quell'appuntamento ero sicura che l'avrei aiutato a migliorare ancora, a recuperare anche l'entusiasmo per le piccole cose. Lo spirito femminile da crocerossina non si smentisce mai! Chiacchierammo per circa due ore praticamente di tutto come se - e di fatto era così - avessimo avuto qualcosa da recuperare. Parole non dette e sorrisi non ricambiati. «Posso tornare a casa con te?» Glielo dissi quando mi accompagnò alla macchina. Lui fece spallucce (gesto che avrebbe dovuto dissuadermi, ma avevo la visuale offuscata dalle risate delle due ore precedenti e quindi non fui obiettiva) e disse: «Se vuoi...» Ero felice! Avevo riottenuto il mio Paolo e mi accingevo a tornare a casa con lui. Magari avremmo cambiato casa, adottato un altro cane, fatto un viaggio o magari un figlio! Avevo la testa colma di cose, di sogni, di speranze che magari nutriva anche lui. Almeno questo era quel che pensavo. Nell'arco dei primi tre mesi venne spazzato via tutto da un soffio di vento. Tornato a casa si toglieva la giacca, le scarpe, indossava le pantofole, accarezzava il cane e mi chiedeva più o meno a che ora si cenava. Ogni singola sera. Esattamente come allora provavo a proporre un'uscita, un po' di vita comune ma lui rispondeva puntualmente che non ne aveva voglia, che stava bene così, che ne avevamo già parlato in passato, che voleva riposare e che se non mi stava bene sapevo dov'era la porta. «Te ne sei già andata una volta. Mia cara, se non ci stai bene qui non posso certo trattenerti...» L'amore diventò odio. Profondo più di un pozzo nero. Se me ne fossi andata lui non avrebbe provato niente. Nè nel bene, nè nel male. Se fossi rimasta, lo stesso. L'unico modo che avevo per recuperare la mia dignità era vederlo morire. Non ho mai amato le perdite di tempo quindi non scelsi una morte cruenta da attuare attraverso la tortura, no. Semplicemente veleno per topi. Un massiccia dose nel risotto e il gioco era fatto. Sarebbe morto dopo un paio d'ore, questo sì. Ma se volevo un effetto immediato dovevo ricorrere al soffocamento o ad un colpo di pistola, ma sarebbe stato troppo rumoroso quanto troppo complicato. Non credevo che procurarsi un'arma fosse così difficile... I quattro formaggi avrebbero coperto l'odore leggero del veleno e lui sarebbe crepato tra sofferenze indicibili. Sì, deve morire! Ha rubato i migliori anni della mia vita, mi ha trattata praticamente come una cretina, una che non avrebbe dato importanza a se stessa. Lo guardai mangiare avidamente e più lui ingurgitava più io pregustavo il momento. Talvolta non esiste godimento maggiore, se non quello dato dalla vendetta. Cominciò a sentirsi male poco dopo. Il veleno fu più rapido di quello che credevo. Durante la crisi respiratoria mi chiese perchè. Aveva già capito. Intelligente lo è sempre stato, su questo non ci sono dubbi.
«Perchè...Io non ti ho mai fatto niente...»
«E' proprio questo, il punto. Tu non hai fatto niente. E le emozioni? Dove le metti? Sei stato governato soltanto dall'indifferenza negli ultimi anni. E quel che è peggio è che mi stavi anche contagiando...Il mondo non necessita di persone come te. Serve gente viva o comunque gente che si sforza di esserlo. Tu nutri indifferenza. La stessa che proverò io nel vederti crepare. Potrei fare qualcosa, se adesso ti portassi all'ospedale forse ti salverebbero. Ma voglio farti notare, caro, fino a che punto l'indifferenza altrui può portare realmente a morire.»
Cardarella: recipiente metallico a forma di cono tronco con due manici alle estremità usato da operai edili, carpentieri e quant'altro si accinga a mescolare, impastare o sciogliere materiali usati in edilizia.
mercoledì 16 marzo 2011
lunedì 14 marzo 2011
Il popolo unito, non sarà mai vinto.
Me lo fai capire tu che cosa ti lamenti affare se accetti di lavorare senza essere pagato?
Dimmelo perchè io non c'arrivo, credimi.
Non riesco a capire come si possa non credere nel potere compatto della rivoluzione popolare.
Come si possa accettare a testa bassa il potere altrui che ti schiaccia e ti logora ogni giorno.
E poi te ne esci con frasi sconvolgenti, fai sapere al mondo che alle 24.00 del giorno tal dei tali stai ancora a trabachiare in sostituzione di questo o di quello.
Neanche per una miseria: per niente.
Ma forse lo fai per dimostrare al mondo la tua esistenza fisica?
Per far leggere a persone (che se smetti tra un mese neanche si ricorderanno di te, perchè quelli non leggono il nome, fidati) che ci sei anche tu?
Sto provando a fare tantissime supposizioni, ma non riesco a dare una spiegazione logica.
Ho pensato ad un'eventuale frustrazione che accompagna la tua vita e che vai a sfogare con la tastiera, ho creduto per un periodo che quella firma che certamente anche tu leggi in alto a sinistra praticamente ogni giorno, ti aiuta a sopravvivere. A dare un senso ai tuoi giorni.
Ho appurato - perchè senza ritegno lo rendi anche pubblico - che non hai orari, non hai giorni liberi. Anzi. Che quando ce li hai li trascorri comunque in redazione.
Una vita sociale no?
Una vita, no?
Cominciare a riconsiderare le tue convinzioni circa il percorso da seguire per l'effettiva realizzazione di un sogno, no?
Cominciare a valutare l'importanza della propria dignità di persona prima e poi di lavoratore, no?
Sono frasi difficili da capire, troppo complesse per farle entrare in quella testa?
Anch'io ho lavorato gratis. Ma un do ut des c'era. Avuto quello per cui correvo a destra e a sinistra e realizzato che non c'era futuro, ho guardato altrove. Non ho certo abbandonato il progetto, ma io vengo prima di tutto. La mia dignità precede qualsiasi cosa. Ho già visto mia madre portare avanti e indietro pesanti secchi d'acqua per anni, in cambio di una miseria. Non intendo fare la tessa fine. Ad oggi mia madre la mantengo io, visto che l'hanno comunque sbattuta fuori a calci due anni fa.
C'è poi da dire che lavori per una barca che sta letteralmente affondando tra prua e poppa. Non si capisce ancora da quale parte comincerà a crepare, ma accadrà. Chi c'era prima di te ha dovuto rinunciare recentemente a parte dello stipendio.
Mi dici qual è il futuro nel quale ancora speri, in quell'azienda?
Quella è come una fabbrica, mettitelo bene in testa. E vedi di non fare la stessa fine degli operai di Mirafiori. Hai, così come ce le hanno anche loro, tutte le capacità per guardare altrove.
Fallo prima di avere a carico moglie/marito e figli e prima di non avere scelta.
Adesso non farmi il discorso della volpe e l'uva, per favore. Altrimenti mi fai pensare che non hai capito una beneamata cippa di quel che ti ho scritto.
Se tutti quelli come me (a proposito! La sostanziale differenza che c'è tra me e te, che a me ha portato a fare una scelta di sopravvivenza e di dignità, sta nel fatto che io non ho i genitori che mi mettono nel bene o nel male il piatto a tavola due volte al giorno. Devo provvedere da sola. Al mio sostentamento e anche a quello altrui, se capita!) e come te - leggi precari, disoccupati, abusivi - si rifiutassero di lavorare gratis cosa succederebbe? Te lo dico io: improvvisamente i giornali, i soldini per i collaboratori, li farebbero uscire eccome! Anche una stronzata, ma ci sarebbe.
Perchè di chi è comunque disposto a scartavetrarsi la faccia per passione ne hanno bisogno, parliamoci chiaro. Se persisti con questo comportamento non lamentarti del fatto che non c'è meritocrazia. Tu non vieni sfruttato per meritocrazia. Ti considerano perchè non prendi e non pretendi una lira, svegliati!
Se oggi io ed altri, che non accettiamo di lavorare pro bono, siamo giornalisticamente disoccupati è anche colpa tua. Tua e di quei quattro debosciati come te.
Grazie.

Dimmelo perchè io non c'arrivo, credimi.
Non riesco a capire come si possa non credere nel potere compatto della rivoluzione popolare.
Come si possa accettare a testa bassa il potere altrui che ti schiaccia e ti logora ogni giorno.
E poi te ne esci con frasi sconvolgenti, fai sapere al mondo che alle 24.00 del giorno tal dei tali stai ancora a trabachiare in sostituzione di questo o di quello.
Neanche per una miseria: per niente.
Ma forse lo fai per dimostrare al mondo la tua esistenza fisica?
Per far leggere a persone (che se smetti tra un mese neanche si ricorderanno di te, perchè quelli non leggono il nome, fidati) che ci sei anche tu?
Sto provando a fare tantissime supposizioni, ma non riesco a dare una spiegazione logica.
Ho pensato ad un'eventuale frustrazione che accompagna la tua vita e che vai a sfogare con la tastiera, ho creduto per un periodo che quella firma che certamente anche tu leggi in alto a sinistra praticamente ogni giorno, ti aiuta a sopravvivere. A dare un senso ai tuoi giorni.
Ho appurato - perchè senza ritegno lo rendi anche pubblico - che non hai orari, non hai giorni liberi. Anzi. Che quando ce li hai li trascorri comunque in redazione.
Una vita sociale no?
Una vita, no?
Cominciare a riconsiderare le tue convinzioni circa il percorso da seguire per l'effettiva realizzazione di un sogno, no?
Cominciare a valutare l'importanza della propria dignità di persona prima e poi di lavoratore, no?
Sono frasi difficili da capire, troppo complesse per farle entrare in quella testa?
Anch'io ho lavorato gratis. Ma un do ut des c'era. Avuto quello per cui correvo a destra e a sinistra e realizzato che non c'era futuro, ho guardato altrove. Non ho certo abbandonato il progetto, ma io vengo prima di tutto. La mia dignità precede qualsiasi cosa. Ho già visto mia madre portare avanti e indietro pesanti secchi d'acqua per anni, in cambio di una miseria. Non intendo fare la tessa fine. Ad oggi mia madre la mantengo io, visto che l'hanno comunque sbattuta fuori a calci due anni fa.
C'è poi da dire che lavori per una barca che sta letteralmente affondando tra prua e poppa. Non si capisce ancora da quale parte comincerà a crepare, ma accadrà. Chi c'era prima di te ha dovuto rinunciare recentemente a parte dello stipendio.
Mi dici qual è il futuro nel quale ancora speri, in quell'azienda?
Quella è come una fabbrica, mettitelo bene in testa. E vedi di non fare la stessa fine degli operai di Mirafiori. Hai, così come ce le hanno anche loro, tutte le capacità per guardare altrove.
Fallo prima di avere a carico moglie/marito e figli e prima di non avere scelta.
Adesso non farmi il discorso della volpe e l'uva, per favore. Altrimenti mi fai pensare che non hai capito una beneamata cippa di quel che ti ho scritto.
Se tutti quelli come me (a proposito! La sostanziale differenza che c'è tra me e te, che a me ha portato a fare una scelta di sopravvivenza e di dignità, sta nel fatto che io non ho i genitori che mi mettono nel bene o nel male il piatto a tavola due volte al giorno. Devo provvedere da sola. Al mio sostentamento e anche a quello altrui, se capita!) e come te - leggi precari, disoccupati, abusivi - si rifiutassero di lavorare gratis cosa succederebbe? Te lo dico io: improvvisamente i giornali, i soldini per i collaboratori, li farebbero uscire eccome! Anche una stronzata, ma ci sarebbe.
Perchè di chi è comunque disposto a scartavetrarsi la faccia per passione ne hanno bisogno, parliamoci chiaro. Se persisti con questo comportamento non lamentarti del fatto che non c'è meritocrazia. Tu non vieni sfruttato per meritocrazia. Ti considerano perchè non prendi e non pretendi una lira, svegliati!
Se oggi io ed altri, che non accettiamo di lavorare pro bono, siamo giornalisticamente disoccupati è anche colpa tua. Tua e di quei quattro debosciati come te.
Grazie.
domenica 13 marzo 2011
Hello world!
Welcome to WordPress.com. This is your first post. Edit or delete it and start blogging!
martedì 8 marzo 2011
«Dottò è 'n mazzo da dodici. Che faccio, lascio?»
La festa celebrata l'8 Marzo è la più grande cagata che possa esistere.
Ed è una giornata durante la quale le donne dovrebbero appendere un bel drappo nero alla finestra, altrochè!
No, no. Non sto parlando di quel che successe in quella fabbrica, dove molte donne (ma siamo sicuri sia realmente successo?!) persero la vita. Questo è stato lo spunto per il consumismo, un piccolo passo in più per il signoraggio. E adesso non venite a dirmi che rispettate l'8 Marzo perchè rispettate la donna. Parliamoci chiaro: non sono solo quelle con la ciucia tra le gambe che meritano rispetto. Credo lo meriti ogni essere vivente. Quindi evitiamo di prenderci reciprocamente per il culo.
Tornando alla questione femminile, mi riferisco alla condizione della donna oggi. Nel migliore dei casi, se vogliamo parlare in termini spiccioli, si procaccia il cibo, bada ai pargoli, non consente alla casa di crollare addosso a lei e consorte, all'occorrenza diventa una diplomatica che a quelli dell'ONU gli fa una pippa. Di contro si trasforma in una camiunara pronta a difendere prole e proprietà. Tutto tra gonfiori, vaginiti, mestruazioni, dolori, concepimenti, parto, sangue buttato, eccetera. E questa è la condizione della donna in una delle normalissime vite quotidiane. Anche la vostra fruttivendola, fa' sta vita. Ma tante altre? Parlo di quelle che ancora vengono infibulate, torturate, psicologicamente devastate. E non è necessario andare troppo lontano per trovarne una, fidatevi. Magari la vostra diripettaia ha un occhio nero perchè ha sbattuto contro la porta e voi neanche lo sapete. Perchè non ve ne curate. Adesso non venite a dirmi che è proprio per questo che la festa della donna ha un senso. Cazzate! Sono solo cazzate per lavare la coscienza in un giorno. E che usate, Mastrolindo? 'Azzo, sporca poco eh? E' sufficiente un giorno solo? Pensate ai soprusi che le femmine hanno dovuto subire nel corso dei secoli. Ringraziamo sempre quella latrina di San Pietro, mi raccomando! E' vero che le donne hanno alzato la testa, hanno marciato e si sono fatte sentire. Ma è realmente bastato?
Credete davvero ci sia da festeggiare? O piuttosto sarebbe meglio rimboccarsi le maniche e cercare concretamente di fare qualcosa? Non sarebbe meglio cominciare ad indignarsi se veniamo a sapere che una nostra collega è stata licenziata perchè incinta, per esempio? O magari spaccare la faccia al capo ufficio perchè ha messo una mano sul culo alla segretaria? Sì, ma così metto a rischio anche il mio posto di lavoro... Certo, ma non potrete mai pensare di rispettare una donna se non cominciate a pensare che, fino a prova contraria, è da una fessura che siete usciti!
Ed è una giornata durante la quale le donne dovrebbero appendere un bel drappo nero alla finestra, altrochè!
No, no. Non sto parlando di quel che successe in quella fabbrica, dove molte donne (ma siamo sicuri sia realmente successo?!) persero la vita. Questo è stato lo spunto per il consumismo, un piccolo passo in più per il signoraggio. E adesso non venite a dirmi che rispettate l'8 Marzo perchè rispettate la donna. Parliamoci chiaro: non sono solo quelle con la ciucia tra le gambe che meritano rispetto. Credo lo meriti ogni essere vivente. Quindi evitiamo di prenderci reciprocamente per il culo.
Tornando alla questione femminile, mi riferisco alla condizione della donna oggi. Nel migliore dei casi, se vogliamo parlare in termini spiccioli, si procaccia il cibo, bada ai pargoli, non consente alla casa di crollare addosso a lei e consorte, all'occorrenza diventa una diplomatica che a quelli dell'ONU gli fa una pippa. Di contro si trasforma in una camiunara pronta a difendere prole e proprietà. Tutto tra gonfiori, vaginiti, mestruazioni, dolori, concepimenti, parto, sangue buttato, eccetera. E questa è la condizione della donna in una delle normalissime vite quotidiane. Anche la vostra fruttivendola, fa' sta vita. Ma tante altre? Parlo di quelle che ancora vengono infibulate, torturate, psicologicamente devastate. E non è necessario andare troppo lontano per trovarne una, fidatevi. Magari la vostra diripettaia ha un occhio nero perchè ha sbattuto contro la porta e voi neanche lo sapete. Perchè non ve ne curate. Adesso non venite a dirmi che è proprio per questo che la festa della donna ha un senso. Cazzate! Sono solo cazzate per lavare la coscienza in un giorno. E che usate, Mastrolindo? 'Azzo, sporca poco eh? E' sufficiente un giorno solo? Pensate ai soprusi che le femmine hanno dovuto subire nel corso dei secoli. Ringraziamo sempre quella latrina di San Pietro, mi raccomando! E' vero che le donne hanno alzato la testa, hanno marciato e si sono fatte sentire. Ma è realmente bastato?
Credete davvero ci sia da festeggiare? O piuttosto sarebbe meglio rimboccarsi le maniche e cercare concretamente di fare qualcosa? Non sarebbe meglio cominciare ad indignarsi se veniamo a sapere che una nostra collega è stata licenziata perchè incinta, per esempio? O magari spaccare la faccia al capo ufficio perchè ha messo una mano sul culo alla segretaria? Sì, ma così metto a rischio anche il mio posto di lavoro... Certo, ma non potrete mai pensare di rispettare una donna se non cominciate a pensare che, fino a prova contraria, è da una fessura che siete usciti!
mercoledì 2 marzo 2011
Buon compleanno Elvis!
Quando vado a letto se non mi metto a pancia in giù non mi addormento.
Non amo i posti particolarmente affollati. Anzi. Tendo a scappare dal bordello.
Anch'io, come te, sarò sempre dalla parte di chi lavora.
Riesco a camminare sui tacchi con una certa dignità, anche se li porto raramente.
Mi piace il colore rosa, ma non se indossato.
Amo l'odore della terra bagnata, della benzina e quello della vernice.
Mi piace svegliarmi la mattina e cercare di fare quante più cose possibili in un giorno solo.
Cerco sempre di non dare fastidio a nessuno.
Mi sarebbe piaciuto imparare a disegnare, ma la cosa mi annoia.
Vorrei sempre essere da un'altra parte.
Mi piace camminare ascoltando musica, ma non amo correre.
Nella scelta tra un ristorante e una trattoria, scelgo una bettola nascosta per una pizza e una birra.
No mi piace non ricordare cosa ho sognato la notte precedente.
Trascorrerei ore a guardare le stelle.
Do troppa importanza alle parole.
Amo l'odore del caffè in casa la mattina.
Mi piacciono i camini.
Non amo le foto col sorriso deficente, nè quelle fatte con la posa plastica.
Mi piace il bianco e nero nelle foto.
Non amo il grigio.
Ho una buona resistenza al dolore fisico e centro 7 bersagli su otto.
Non mi sarebbe dispiaciuto nascere maschio. A 26 anni posso dirlo.
Mi hai delusa più tu che tutta la gente che ho incontrato fino ad oggi.
Sono capace d'invaghirmi anche di chi non conosco se solo si riesce a guardarmi dentro.
Tutte queste cose, di me, non le sai. Perchè sei la persona che mi conosce meno, papà.
Ma nonostante tutto ci si porta avanti e ti si fanno gli auguri per i 58 anni.
Certa che parte delle rughe che tu hai sul volto a me le hai fatte fare sul cuore, prima del tempo.
Non amo i posti particolarmente affollati. Anzi. Tendo a scappare dal bordello.
Anch'io, come te, sarò sempre dalla parte di chi lavora.
Riesco a camminare sui tacchi con una certa dignità, anche se li porto raramente.
Mi piace il colore rosa, ma non se indossato.
Amo l'odore della terra bagnata, della benzina e quello della vernice.
Mi piace svegliarmi la mattina e cercare di fare quante più cose possibili in un giorno solo.
Cerco sempre di non dare fastidio a nessuno.
Mi sarebbe piaciuto imparare a disegnare, ma la cosa mi annoia.
Vorrei sempre essere da un'altra parte.
Mi piace camminare ascoltando musica, ma non amo correre.
Nella scelta tra un ristorante e una trattoria, scelgo una bettola nascosta per una pizza e una birra.
No mi piace non ricordare cosa ho sognato la notte precedente.
Trascorrerei ore a guardare le stelle.
Do troppa importanza alle parole.
Amo l'odore del caffè in casa la mattina.
Mi piacciono i camini.
Non amo le foto col sorriso deficente, nè quelle fatte con la posa plastica.
Mi piace il bianco e nero nelle foto.
Non amo il grigio.
Ho una buona resistenza al dolore fisico e centro 7 bersagli su otto.
Non mi sarebbe dispiaciuto nascere maschio. A 26 anni posso dirlo.
Mi hai delusa più tu che tutta la gente che ho incontrato fino ad oggi.
Sono capace d'invaghirmi anche di chi non conosco se solo si riesce a guardarmi dentro.
Tutte queste cose, di me, non le sai. Perchè sei la persona che mi conosce meno, papà.
Ma nonostante tutto ci si porta avanti e ti si fanno gli auguri per i 58 anni.
Certa che parte delle rughe che tu hai sul volto a me le hai fatte fare sul cuore, prima del tempo.
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