lunedì 8 agosto 2011

Io e il rapinatore - Prima parte

Sai quando stai camminando e ti senti osservato, seguito? Che se ci pensi quella sensazione ti fa pure sentire un coglione perché magari non c’è nessuno che ti osserva, né qualcuno che ti segue ma tu quella sensazione ce l’hai e allora ti volti in continuazione giusto perché, se è una cosa, è bello avere ragione. Anche per godere se poi, a te stesso, puoi dire: “Visto? Io te l’avevo detto!”
Ecco, così. E nutri il tuo ego immaginario fatto di confusione, scarsa autostima e demenza, fondamentalmente. Ti lasci andare alle parvenze di perfezione, cominci a pensare di essere ‘uno buono’. Alle suddette si aggiungono le perfette perversioni, però, se una cosa così ti succede a Napoli. Metti che stai camminando per i fatti tuoi in una strada, di sera.  Che non indossi qualcosa che possa attirare l’attenzione di qualcuno, che stai comunque stanca e sfasata perché hai da poco finito di allenarti e che di tutto puoi aver voglia (io con la parola tutto identifico il letto dopo un’ora di sacco pesante), tranne che di litigare con la gente, ascoltarla polemizzare. Cioè una cosa tipo che quando hai finito di sentire il rumore della doccia, vorresti che il mondo si mettesse in pausa, una specie di stand by solidale. Pure le opinioni intelligenti ti danno fastidio, pure quelle che vengono dette da persone intelligenti, pure le richieste ordinarie tipo prestare l’accendino, una penna, se sai che ore sono. Insomma, nun vuò avè a che ffà cu nisciun e sei contenta così.
E inutile che sbuffate e fate finta di girarvi con la testa dall’altra parte. Lo so che anche a voi è capitato di sentirvi così. 
Comunque quella volta io così stavo: sospesa tra il se, perché, mah, vafancul’. E camminavo in direzione di piazza Vanvitelli, popoloso luogo dove avrei atteso il mio cavaliere senza testa venirmi a prendere per poi portarmi a casa e consentirmi di buttarmi a peso morto sul talamo, unico oggetto del mio desiderio. Tornando all’inizio, mi sentivo seguita. E non è che diedi tempo o dubbio alla mia sensazione. No. Io avevo ragione e sapevo di averla e volevo goderne subito.
Mi voltai e vidi uno che camminava dietro di me, poco distante. Qualche minuto dopo mi voltai nuovamente e questo tizio sempre dietro di me stava. Non un passo in più, non uno in meno rispetto a poco prima. “Mò io lo voglio pure capire che la strada questa è, - pensai – però chist’ putess’ pure accelerare il passo, attraversare e andare dal lato opposto, avere una sincope, un coccolone, svenire…”  Continuai a camminare ignorando i pensieri che m’ingombravano la testa (avete fatto caso, a volte, a quanto siano invadenti, i pensieri? Cioè quanto più cerchi di non pensare a una cosa, tanto più ti ci fissi sopra.), o almeno facevo finta, finché poi non decisi che quella ragione che sapevo di avere la dovevo toccare  per sentirmi bene. La dovevo guardare in faccia. E mi fermai fingendo di cercare le sigarette nello zaino, solo per vedere se si sarebbe fermato pure lui. Il tipo incolla e fa l’aria dello spaesato se lo guardo. “Vabbè, è confermato. Questo mi sta seguendo.”  D’istinto mi poteva pure venire di afferrare il cellulare e chiamare i carabinieri, ma che cazzo andavo a dire? Che c’era un tipo che in base ai miei sospetti mi stava seguendo e che loro dovevano avvisare come minimo l’esercito e farlo intervenire con un mezzo corazzato per annientare quel pericolosissimo latitante sanguinario, altrimenti quello mi avrebbe costretta per mesi a rapporti contro natura e a nasconderlo dandogli pure da mangiare?
Non sarebbe stato credibile, vi pare? Considerando soprattutto che il soggetto in questione avrebbe potuto ascoltare la telefonata e vivere poi di risate alle mie spalle, che magari prima s’era fermato solo per fatti suoi. Decisi di sbrigarmela da sola, rallentai, il tizio mi raggiunse e quando era poco distante da me m’uscì così, come se fino a poco prima la frase che ho poi pronunciato fosse stata bloccata tra lo sterno e lo stomaco. Come un rutto dopo un bicchiere di birra: 
«Scusi, ma lei è un rapinatore?»
Il tipo sgrana gli occhi, manco gli avessi chiesto se la mamma era quella che faceva le marchette con mia sorella nel 1993 (sono figlia unica.).
L’orgoglio professionale però prevale, cambia sguardo e mi dice con aria ancora un po’ confusa:
«Veramente sì. Pecchè?!»
«Perché è meglio saperle subito, certe cose. Sei armato?» Comincio a dargli del tu, così il tipo si scioglie e entriamo in confidenza mentre continuiamo a camminare, in salita.
«Teng’ a mullett», precisa lui tra un fiatone catarroso e l’altro mentre lascia tra le labbra consumarsi una sigaretta dalla marca ormai indecifrabile, ridotta ad un mozzicone. Io odio le armi da taglio. Mi fanno parecchio innervosire, ma questo al mollettaro non lo do a vedere, per non irritarlo. Un calcio in faccia che pure avrei potuto assestargli se m’avesse detto culo, non è esattamente come una coltellata nella panza. Visto che il mio obiettivo era quello di farci amicizia, fingo l’opposto. Smisurato interesse per coltelli, maceti e altre stronzate simili.
«Ah, si? Ma c’ha il manico in avorio? Com’è fatta?», chiedo.
Lui, riprendendo fiato e cercando di restare serio:
«Jamm’ bbell’, jamm’. Io non tengo tiempo da peddere! Dammi quello che tieni addosso.»
Non nascondo che mi è preso un po’ il panico e mi sono sentita un’idiota, visto che avevo cercato pure di farmelo amico a ‘sto stronzo!
«Ma dai, stai calmo, oh! Mica voglio far perdere tempo alla gente, io! Sono una rapinata seria, io! Che ti credi? Comunque ho 10 Euro. Facciamo a metà?»
«Iccellulare noccelai?» , mi chiede.
«Quando vado ad allenarmi non lo porto mai.» , rispondo.
«Ah. Ma allora tu sei uscita dalla palestra che sta qquaggiù? Quella dove si fa bocs?», chiede lui incuriosito facendo caso alla scritta sulla maglietta che dice più o meno così: ‘Full contact fighter. Karate, kick boxing, muay thai. Mr. S. I. – le iniziali del mio maestro – via tal dei tali Napoli’.
«Si e sto stanca. Li vuoi ‘sti 10 Euro? Guarda rinuncio pure al caffè, ma questo tengo. Mi fai vedere la molletta?», chiedo per prendere tempo.
Lui alza gli occhi al cielo, chiedendo al pataterno se era stato effettivamente lui a venire da me o se lo stavo importunando io. La tira fuori e mi mostra orgoglione una cosa che avrà avuto la lama da 22 cm, col manico scuro e la sicura inserita. (Ho detto che non amo le armi da taglio, mica che non le conosco…)
«Uà, bella! – dico con gli occhi fintamente sgranati e l’espressione falsamente sorpresa. – La fai scattare? Vorrei vederla aperta…»
Lui, ormai prigioniero in una spirale di presunzione di plastica e osso pieno, spegne completamente il cervello e da sfogo alla sua totale inesperienza. Prova ad aprirla, ma non ci riesce. Una, due, tre volte. Niente. La cosa non scatta.
«Ma che è, rotta?» dico evitando di ridergli in faccia.
«NonèpoTTibbile. L’ho comprata aieri!»
«Ma dove l’hai presa?», fingo interesse.
«Da mano a mio cuggino», dice deluso.
«Vabbè, dai. Non importa.» – dico d'un fiato per levargli quella cosa da mano prima che potesse accorgersi della figura di merda fatta e, dal nervoso, schiattarmela nell’intestino crasso. Per intanto eravamo arrivati a piazza Vanvitelli, luogo dove contavo di trovare già il cavaliere ad aspettarmi. Appuntamento del quale il rapinatore non era certo a conoscenza. La sola speranza che aveva di potersi fare una cosa di soldi per la serata è stata calpestata da una coltello, diciamo, rotto e ulteriormente sfrantummata quando gli ho mostrato il portafogli, contenente davvero solo 10 Euro. La sua faccia triste mi ha quasi fatto pena. Aveva quasi gli occhi lucidi e cercava di nasconderli guardando da un’altra parte. Li puntava ovunque, ma non sulla mia faccia.
Io che sono nata col difetto suicida della curiosità e della compassione verso il prossimo (se dite quest’ultima cosa a qualcuno vi scanno dove state, state, ve lo giuro…) gli metto una mano sulla spalla e faccio:
«Oh…» come a consolarlo. A lui scappa una bestemmia in aramaico e quando sta per cominciare a parlare arriva il cavallo su due ruote che mi porterà all’agognato castello dove, finalmente, dormirò il sonno dei giusti. Però…

…Però mò io voglio andare a leggere un libro coi miei tre gatti, sul letto. Continuate voi. Nel sondaggio sotto riportato ci sono diverse soluzioni circa la fine della storia che avete appena letto. Votate e vediamo che ne esce fuori. Questo fatto durerà 5 giorni (o anche una settimana, se avrò di meglio da fare) e la soluzione che avrà riscosso il maggior numero di preferenze verrà certamente pubblicata. Con l’effettivo finale della vicenda che potrebbe anche essere riportato tra le varie. Se non voterete non saprete mai com'è andata a finire e verrete mangiati dalla smania, divorati dalla curiosità. Vi uscirà il fegato da bocca e lo stomaco canterà Lacrime napulitane.
















































La riposta e' dentro di te. Che pero' e' sbagliata.


Il rapinatore e' il famoso cicciobombolone ed e' cosi' che ci siamo conosciuti


Ho scoperto un lontano rapporto di parentela col rapinatore ed e' arrivata Raffa a fare Carramba


Mi rompo il cazzo di rispondere al tuo sondaggio di merda. Finisci di scrivere, stronza!


Il rapinatore mi ha pregato di rapinarlo, pur di liberarsi di me


Il rapinatore ed io siamo diventati amici e ho anche fatto la commara ai figli al battesimo


Il rapinatore ha detto che se continuavo a parlare chiamava i carabinieri


Il rapinatore e' finito a terra tramortito da uno dei miei cazzotti e si e' scoperto masochista


Voglio la verita', quindi non do pareri. Scrivi tu, io prendo le patatine.


  

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12 commenti:

  1. Oddio che ridere "Scusi lei è un rapinatore?" uahahahahaha
    MI-TI-CA!

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  2. Pensavo di aver visto ed udito cose che voi umani.................
    Soltanto ora mi rendo conto che in realtà non ho mai visto una mazza di niente ! 

    Quando mi sarò ripreso dallo shock... forse riuscirò a scrivere un commento !

    (......... comunque............ sei bravissima !!! )

    Teo Wolfe

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  3. a me il rapinatore al seguito non è mai capitato. In compenso ne ho fatte di figure di merda. Una delle peggiori fu quando seguita col broom broom che dici tu su via case puntellate (chi la conosce la evita), cambiai braccio alla borsa camminando lungo il muro e mi sentii apostrofare malamente dal tipo: "nunn'avè ppaura ca nun ta' scippo 'a borza, sta scema". Marò che scuorno!

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  4. Io potrei pure pensare che fosse ciccio tuo, ma uno che non si cura una ferita alla gamba non andrebbe mai in giro con un coltello! Però... sono pronta ad essere smentita! ahahhaaa

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  5. io voto la sei. Chillu pover'ommo nun sapeva cchiù come svignarsela.
    :-D

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  6. Anche io ho votato la sei: è la più plausibile :p

    Fosse altro perché, dopo la prima, traumatica rapina, è una tecnica che uso anche io. Ma evidentemente non con la tua stessa inventiva ;)

    Raf

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  7. isa_m: atteggiamento napoletanparaculo

    Teo Wolfe: per dire di aver visto tutto, ma veramente tutto, e poter sostenere con una certa leggiadrìa nel pensiero nonchè con una discrezione umorale, di conoscere seppur sommariamente l'essere umano direttamente discendente dalla scimmia e dal macaco, devi aver vissuto a Napoli. E' inutile che ti applichi e non volermene, per la schiettezza. Ma al nord nun succer' maje nu cazz!

    Ps: però quando mi applico scrivo da persona importante, eh?

    Claudia: può anche darsi che lo scippo voleva fartelo e non ti sei impressionata e che, quindi, abbia solo dato sfogo al servizio che gli hai fatto al deretano...
    Non so se si capisce la metafora.

    Raf: tien' e corn'!

    Choco: è una cosa successa ben prima della ferita con annesso intervento e scassamento di uallera. Ergo... Poi boh!

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  8. Ciao,

    ritengo che la più plausibile sia la cinque.

    Buona serata!

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  9. Su, con la seconda parte.

    Non ho votato la cinque

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  10. E'nzomma, m' vuo 'fa' parti' co' spanteco!
    Jamm' ja, sto aspettanno a tte! ;)

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  11. Ahah, brava! Questo è lo spirito giusto!

    (ma se in tasca avessi avuto 200 euro?? O_O!?)

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