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Sapessi come ti fa sentire sola la gente, quando hai bisogno di persone.
Ho pensato che sarebbe stato giusto cominciare la mia prima lettera a te come se ci conoscessimo da sempre, come se fossimo carissimi, vecchissimi amici. Cioè l'opposto di quello che siamo. Tu un personaggio immaginario, io una povera disadattata. Almeno scrivendoti ho l'illusione di essere ascoltata, che c'è chi da importanza a quel che ho da dire, a ciò che ho dentro senza giudicarmi e soprattutto senza interrompermi o mettendo in primo piano le sue esigenze. Come invece accade con la stragrande maggioranza delle persone che "conosco". Non sono discorsi vittimistici i miei, intendiamoci. Tristemente realistici. Tu però non sei così. Non prometti, quindi non hai nulla da mantenere. Non mi hai mai detto che mi vuoi bene, quindi non li hai mai regalato aspettative. Non mi hai mai confidato i tuoi problemi, quindi non ho dovuto mettere da parte i miei problemi per dar credito ai tuoi. Non mi sono mai dovuta mettere da parte davanti a te. Ognuno dei due ha sempre conservato la propria individualità concedendosi, tuttavia, un pizzico di dualismo quasi sentimentale. E stai sicuro che specie nel momento in cui hai il cuore stropicciato, non chiedi altro che essere ascoltata. A me non succede. Ho provato ad analizzare il mio comportamento, a mettermi in discussione con me stessa, a domandarmi se sono io il problema. Eppure non sono riuscita a capirlo. Sapessi come ti fa sentire sola la gente, quando avresti solo bisogno di persone. Quando necessiti di un abbraccio o anche di una pacca sulla spalla o una carezza sulla testa. Un bacio, un pizzicotto sulla guancia. Soprattutto quando tu ne hai distribuiti senza riserve.
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