La cardarella è poliglotta. Translate!

25 nov 2014

novembre 25, 2014 - No comments

25 novembre

 Per lui io ero la cretina. Quella che quando le dicevi qualcosa non capiva, quella sempre indecisa su tutto, quella insicura. E lui la mangiava la mia insicurezza, l'abbracciava prima di andare a dormire, ci faceva colazione al mattino. Se non fossi stata così insicura forse lui non avrebbe mai reagito così male, tutte quelle volte. Ma non era solo la mia indecisione, la mia inesperienza nei confronti delle cose. Era anche il mio carattere, senza dubbio. A volte me ne uscivo con certe rispostacce che non sarebbero state tollerabili, neanche se avessi avuto a che fare solo con me stessa.

Avrei dovuto cambiare libro anni fa, al primo schiaffo. Fu una cosa da niente, neanche mi lasciò il segno. Ma il gesto avrebbe dovuto farmi capire che era solo il primo. Forse lui aveva dei problemi, avrei dovuto aiutarlo. O magari solo scappare. O forse sarebbe bastato un abbraccio in più. O io avrei dovuto essere meno stupida e più accondiscendente. Le cicatrici che ho addosso, tuttavia, mi dicono quanto sono forte per aver tollerato, gridano che posso affrontare ormai tutto nella vita. Perchè se vivi col nemico che è seduto sul divano, non c'è battaglia che non sei destinata a vincere. Eppure mi sento una perdente, perchè non sono riuscita a difendere in maniera adeguata tutto l'amore che provavo per lui. E' strano a dirsi, ma scatta una sorta di sindrome di Stoccolma. Anzi, una sindrome di stoccolma vera e propria. Più ti mette le mani addosso e più gli vuoi bene perchè il tuo cervello ti dice che se si comporta così, poverino, è colpa tua o del mondo intorno. Non è lui, lui è la persona splendida che quella sera ti portò a cena, che tu volevi pagare e che lui ti fermò mani e borsa prima che arrivassero a coprire il conto. Lui è l'uomo della tua vita e aveva bisogno di aiuto. E quindi tu dovevi cambiare in base alle sue esigenze, anche se questo non ti ha mai portata a pensare a quante volte, per te, è cambiato lui. Semplicemente perchè non l'ha mai fatto. Ho un segno sul braccio sinistro. Una cicatrice profonda e lunga. Ogni tanto la guardo e mi ricordo di quanto ruppi un tavolino di legno cadendoci sopra. Mi ferii, il sangue fu tanto. Dopo avermi spinta mi lasciò a terra e andò a dormire. Lo ascoltavo russare mentre mi medicavo con le lascrime e mi leccavo le ferite che avevo sul cuore. Quelle però non si sono mai sanate. Ogni volta che arriva la Pasqua mi trucco come se dovessi nascondere un occhio nero, esattamente come feci anni fa che dovevo andare a pranzo da mia madre. Ma la stupida ero io. Ero io che dovevo stargli più vicino, ero io che dovevo essere come lui mi voleva. Allora tutto questo non sarebbe mai successo. E io, adesso, non avrei lo stomaco che urla vendetta dopo anni di umiliazioni, anche in pubblico. Quante volte ho pianto, fino ad addormentarmi. Convivevo con gli occhi che mi bruciavano e il cuore che sanguinava, ma nnostante ciò se lui guidando mi metteva una mano su una coscia era svanito tutto. Bastava un mazzo di fiori, una carezza, un bacio all'improvviso che mi faceva ricominciare tutto daccapo. E perdonare, ogni volta. Perchè ogni volta lui mi diceva che non sarebbe più successo, che era pentito, che io ero tutta la sua vita e che non c'era giustificazione a reggere. Ma il cuore di una donna è così profondo e così pieno d'amore che ci credevo. Io credevo ai suoi occhi, al suo sguardo basso, alle sue mani che non sapeva dopo appoggiare mentre si scusava. E io con la mandibola dolorante dopo un pugno o la caviglia sanguinante per un'oggetto lanciatomi contro, perdonavo. Ci sono passata sopra così tante volte che prima o poi, mi dicevo, tutta questa violenza morirà. Si consumerà. Si eclisserà e diventerà solo il ricordo di anni bui, neri e insensati. Una sera scappai, dopo l'ennesima lite finita a schiffi sulla mia guancia, mentre lui dormiva. Ero in strada e non sapevo dove andare. Girovagai tra muretti sporchi e bottiglie di birra vuote. Poi tornai a casa. Lui non si era accorto di niente. Dormiva così profondamente che avrei potuto ucciderlo. Non sono mai stata brava a mentire, quindi sarei stata anche una pessima omicida. L'ultima volta, quella che mi costrinse a dire in giro che avevo sbattuto contro la porta, mi pose davanti agli occhi tutta la mia vita. Quando senti che stai per morire, è vero, ti passa tutto davanti in modo incontrollabile. E io stavo morendo, giorno dopo giorno, calcio dopo calcio, mi stavo consumando. Avevo gli occhi pesti e spenti, non ero più io, non mi piacevo più e non mi riconoscevo neanche. Avevo paura di qualsiasi cosa, talvolta anche di me stessa. Spesso tremavo e non riuscivo più a dormire. Mi guardavo le spalle con lapaura che lui potesse arrivare all'improvviso e tirarmi i capelli. Poi non so cos'è successo, forse la crocerossina che è anche in m ha detto basta, o forse è morta o si è traformata in una donna moderna finalmente pronta per se stessa, però, per fortuna, ha fatto dire basta anche a me. Quante volte sono passata davanti al centro antiviolenza e non ho mai avuto il coraggio di entrare, solo Dio lo può immaginare. Se avessi avuto il coraggio di me stessa sarebbe finita prima, sarei rinata prima. Perchè non c'è persona al mondo che può considerarti roba sua e disporre di te come e quando crede. In una delle sue crisi di pianto da coccodrillo ho detto che era finita. Lui non l'ha presa bene, io avevo il cellulare pronto per chiamare i carabinieri se mi avesse picchiata ancora. Non avrei potuto dimostrare i precedenti visto che non l'avevo mai denunciato, ma almeno mi sarei sentita meno sola. All'improvviso lui si è ritrovato davanti dall'oggi al domani una femmina risolutiva, forte, dalla personalità decisa e non ha capito che non sono mai stata così delicata come in quell'istante. Me ne sono andata e non c'è stato nessuno a chiedermi di restare, nessuno a cui la cosa importasse. Dentro urlavo e nessuno mi ascoltava. Allora ho capito che il suo non era amore, era esigenza, pretesa, desiderio di possesso, di controllo. Se la vita però mi aveva già fatto ingoiare merda e mi ha resa forte, questo capitolo mi ha fatta diventare come sono oggi. Così fragile dentro la mia corazza. Ancora mi domando che fine avrei fatto se non me ne fossi andata, se non lo avessi traumatizzato parlandogli per una volta senza singhiozzare, senza mostrarmi stupida, senza scoprire il fianco. E lui si è spaventato. Basta poco per far paura ai codardi. 
Ricordo che una volta con un mio amico per il giornale andai ad un convegno contro la violenza sulle donne, era il 25 novembre. La relatrice mentre parlava si riferiva a questi episodi subdoli chiamandoli 'fenomeno'. Lui ascoltava, poi ad un certo punto mi sussurrò all'orecchio: "Ma perchè lo chiamano fenomeno quando è solo merda?"
Io guardai la cicatrice che ho sul braccio, sorrisi e risposi: "E' vero, è solo merda."


Autobiografico o no non è importante. Scappate, denunciate, liberatevi.
Abbiate rispetto per la vostra vita.

23 nov 2014

Io e il rapinatore (parte seconda)

Questo è il seguito di una storia che iniziai a raccontare il nove agosto, col sudore che mi scorreva sulla faccia a tipo versione cafona di Charlotte Bronte. Visto che non sono una che lascia le cose in sospeso, ho deciso di completarla oggi. Ultimo giorno di un anno di merda. 

Vabbè, che sono estremamente in ritardo che c'entra...è un dettaglio...Smettete la polemica e passiamo appresso. 

Riprendo l'ultimo rigo, così vi costringo a leggere la prima parte.


"A lui scappa una bestemmia in aramaico e quando sta per cominciare a parlare arriva il cavallo su due ruote che mi porterà all’agognato castello dove, finalmente, dormirò il sonno dei giusti. Però…" 

...Se avessi fatto capire al mio cavaliere, quella sera, che quello era uno che aveva appena tentato di farmi una rapina, non sono il sedicente mariuolo avrebbe visto la propria faccia spiattellarsi al suolo, ma il letto, io, l'avrei visto dopo una nottata in caserma trascorsa ad aiutare l'appuntato a scrivere la denuncia. Insomma, voi capirete che era il caso di adoperare la cazzimma. 

«Vieni appresso a me e non far capire niente.» , dissi al rapinatore. Lui restò in silenzio e mi seguì strofinandosi gli occhi.  Salutai il cavaliere con una carezza al serbatoio della moto e subito mi sentii tozzoliare sulla spalla. Gesto accompagnato da un allegro e infastidito: «Ma chist' chi foss'?»

«No, lui è un mio vecchio conoscente. L'ho incontrato per caso.» In un momento di lucidità civile i due si strinsero la mano e al cavaliere scappò detto: «Lo prendi un caffè con noi?» Sapete quando vi volete liberare di una situazione e questa vi segue anche se cercate di seminarla buttandovi per i vichi? Così. "Mannagg' o cazz'!", pensai. Inutile dire che il rapinatore e il cavaliere mi precedettero nel bar. Iniziarono a chiacchierare del più e del meno, mentre io ragionavo sul come scollarmi di dosso quel contesto imbarazzante fatto di bugie, speranze e supposizioni. Io le schifo, le supposizioni. A furia di parlare il rapinatore se ne uscì dicendo che aveva due figli, una moglie e un basso in affitto a vico Speranzella ai quartieri. Che aveva perso il lavoro, che prima faceva l'LSUper il comune e che anche i soldi della disoccupazione erano finiti. Che il problema non era tanto portare i bambini a fare due bagni a Mondragone, perché «Quann'è buono, buono liempio la piscina la mattina e la svacanto la sera...», quanto il fatto che non sapevano come fare per mangiare. La suocera cercava di aiutarli, ma con una pensione minima non poteva fare tanto, ecc..ecc.. Intanto io sentii il mio stomaco contorcersi e le budella iniziare un improbabile processo digestivo all'altezza della trachea. Usciti dal bar, tra l'altro, il rapinatore e il cavaliere sembravano diventati amici. Quasi fratelli. Gli chiedemmo il numero di telefono (aveva un cellulare, ma lo usava ormai solo per ricevere) così, nel caso avessimo saputo qualcosa per un eventuale lavoretto da fargli fare, lo avremmo chiamato. Vi risparmio un'aspettata retorica scrivendovi che nei giorni seguenti non feci altro che pensare a lui e alla sua situazione, anche perché non fu così. E' la verità. Lasciai che la mia vita mi riassorbisse con i suoi ritmi e le sue abitudini. Fino a un po' di tempo dopo, quando, finito l'allenamento, mi venne detto che si cercava qualcuno che potesse pulire la palestra. Compresi bagni e spogliatoi. «Si, ma una persona che non abbia grandi pretese. I soldi so' pochi per tutti.» Pensai a lui e lo chiamai il giorno dopo. Ha cominciato col venire a lavorare, poi è finito sul Tatami. Poi al sacco leggero. Poi al sacco pesante, la pera, gli attrezzi e la scala del petraio a tipo Rocky che non ce la faceva neanche a dire come si chiamava, dopo. Qualche gara l'ha vinta. Qualcuna l'ha persa. Un paio di coppe ce le ha, in casa. Il fatto curioso era che ha cominciato ad allenarsi per una questione fisica. E' tarchiatello, sembra uno scimmiotto. Ma siccome aveva anche fatto lavori pesanti, stava ben piazzato. E un tipo così, se è portato per uno sport del genere, non può che fare pubblicità alla palestra nella quale si allena. Ovviamente, che non pagava, eravamo in pochi a saperlo. Il fatto ammirevole era che veniva ad allenarsi, si scassava, poi si metteva a lavorare e, una volta finito, correva a casa a lavarsi. Perché si vergognava di consumare l'acqua. Il fatto che m da al cazzo è che una volta abbiamo combattuto insieme. Amichevolmente. Ho vinto io, sì. Ma lui mi ha colpita in faccia. E m'incazzo molto, quando lo fanno. Adesso è lì che sta. E aspetta che cominci il corso delle 15.00 per insegnare ai bambini. La molletta la lascia a casa.

18 nov 2014

novembre 18, 2014 - No comments

Intanto tu, visto che il cielo è ancora intatto, cerca di essere felice.

 Diciamo che quel gioco del se tu avessi detto o se tu avessi fatto, l'abbiamo portato avanti abbastanza.

E proviamo a fare l'altro gioco, quello del se io avessi detto, se io avessi fatto.
No, non è più divertente. Solo più utile. Più utile per me.
Visto che mi piace pure cominciare le cose, almeno a parole e a patto che non siano cose che vanno a scardinare l'armatura di cartone che ho addosso, inizio. Poi se lo riterrai opportuno, farai l'analisi di te stesso.
Però vedi di farla bene, non come è già capitato: rifugiandoti dietro la frase 'io ho fatto di tutto'.
Tutto magari è troppo. E troppo può corrispondere a niente. Ora forse ti starai chiedendo con quale voglia mi sono messa a scrivere a quest'ora del mattino
di autoanalisi, critica personale, sincerità e altre boiate che non si inzuppano nel cappuccino.
Mi piacerebbe dirti che manco lo so. Così ne uscirei impunita e contenta e smetterei dichiarando che non ho altro da aggiungere. Sono innocente, Vostro onore e mi rimetto alla clemenza della corte. Ma la verità è che un sogno di qualche ora potrebbe pure avere il potere di smontarti la realtà.
Sì, certo. Lo sappiamo tutti e due che i sogni vengono partoriti dai pensieri diurni. Però nel mio caso di giorno penso determinate cose e di notte ne sogno altre. E' come se il mio inconscio si divertisse a contraddirmi. E mi faccio divertire parecchio quando succede. E' come una martellata sui coglioni. Anche tu non ami essere contraddetto, quindi puoi capire. Perchè se poi ti contraddice te stesso, si creano i presupposti per un travaso biliare di emozioni. Tutto diventa il contrario di tutto, surreale. Ti pare di camminare in una vita che non è la tua, per un po'. Poi realizzi, ti dai il pizzico sulla pancia che cerchi sempre di evitare, ma che invece ti dai anche per cose più futili e materiali, e prosegui.
Ho divagato inutilmente. Adesso cominciamo a giocare. Mi domando se sono pronta, poi d'altro canto penso che sarà divertente, per una volta, pensarla come la vera me stessa, senza scazzottate durante il sonno.
La verità è che io mi sarei dovuta crogiolare nelle tue attenzioni e non considerarle una trappola.
Avrei dovuto vederle come un letto morbido e non come una gabbia dorata.
Se avessi saputo cogliere, in quell'attimo che mi è stato dato disponibile, la tua lealtà, ora non ti restituirei rimpianti.
Ma vedi, io sono quella che non apprezza il troppo e se lo vede scappa. Mi sembra una chiave che mi separa dalla mia libertà, un modo come un altro per relegarmi nel cerchio chiuso della gratitudine.
E non puoi stare con una persona solo perchè gli sei grata.
Quando mi mettono tra le mani una cosa bella, molte volte lo capisco sempre dopo. E' come se facessi fatica ad abituarmici. Forse proprio perchè non sono abituata ad avere tra le mani una cosa bella.
In questo caso non si è trattato di sforzo vero e proprio, ma dell'angoscia che si può provare ad avere qualcuno che ti alita sul collo chiedendoti continuamente di cos'hai bisogno.
Mi hanno detto che il gioco dei 'se' non porta da nessuna parte. Però sarebbe bello fare qualcosa ogni tanto per sentirsi vivi, per mettersi in gioco e capirsi. Come un'autoflagellazione, un mattatoio di emozioni, un calpestare la propria sensibilità per arrivare a dire: "Che idiota sono stata."
Quindi non sempre per arrivare da qualche parte.
Ora come ora sto costruendo la mia vita sulla base di un'altra che è da arrivare e manca poco.
Non l'ho cercato, non so se l'ho effettivamente desiderato.
E forse anzichè andare avanti sono effettivamente ferma sempre nello stesso punto: ad aspettare non so neanche dirti cosa sperando che il cielo non si sgretoli, nel frattempo. Sono finita anch'io in una ciclicità di eventi che ho sempre
rinnegato. Perchè poi è facile parlare, quando non sai manco di cosa.
Intanto tu, visto che il cielo è ancora intatto, cerca di essere felice.



15 nov 2014

novembre 15, 2014 - No comments

Il punto non è vivere con qualcuno. Il difficile è vivere qualcuno

 

    Fortuna che ci sei tu che ogni tanto mi ascolti e non mi dai consigli. Mi stai a sentire come farebbe una persona che è realmente interessata all'altra. Perché solo chi ha davvero interesse si limita ad ascoltare. Fino ad ora ho conosciuto una sola persona che con me si comporta così; una. Una su tre milioni di gente. Ricordi quello che ti ho scritto l'altra volta sulla gente, no? Una soltanto, ma è lontana e non sempre una telefonata accorcia le distanze. Ci vorrebbe un abbraccio, un contatto fisico, anche uno strillo in testa, un po' più di concretezza insomma. Però ci accontentiamo e viviamo quelle scappatelle che ormai possiamo fare due volte l'anno, dimenticando cose, eventi, situazioni. Poi ci sei tu. Uno a cui ho dato vita e che esiste solo attraverso le parole che scrivo, visto che metterle in fila l'una dietro l'altra - spero vivamente con un senso logico - è il mio unico modo di evadere. A questo punto, dato che non sei rimasto un'unica lettera pubblicata nell'etere tipo un messaggio in bottiglia (bellissimi i messaggi in bottiglia, li trovo splendidi. Prima o poi ne scriverò uno e dopo qualche tempo sarò contattata da chi l'ha trovato.), è il caso di darti un nome. Non sarà un nome comune perché chiunque potrebbe sentirsi chiamato in causa e non esiste nessuno come te. Neanche tu esisti, se non nella mia immaginazione. Quindi ti chiamerò tizio. Lo so che non ti piace, ma vedrai che ti ci abituerai. Comunque credo che mi sono dilungata fin troppo, ora arrivo al punto. Ho un problema Mr. Tizio. Voglio qualcuno che sia disposto a vivermi. E che io possa vivere a mia volta. Qualcuno che sia interessato a quello che faccio, che mi chieda a cosa sto pensando, che voglia entrare nelle mie volontà. Non dico che debba realizzarle, solo che s'interessi a me come io farei con questo qualcuno. Perché è facile vivere con una persona. Il difficile è viverla. So che posso volerla, so che posso arrogarmi il diritto di dire cosa mi merito e cosa no e una persona così, che non si limiti alle chiacchiere o a promesse non mantenute, la merito eccome. Forse non riesco a bastare a me stessa, ecco perché vorrei solo una spalla larga su cui appoggiare la testa e a cui offrire tutto l'amore che ho dentro. È troppo, Mr. Tizio e paradossalmente mi sta logorando. Per la prima volta nella mia vita sono stanca di sognare, mi sento vecchia. È una sensazione orribile, è come se mi stessi spegnendo. L'ho detto al mio più caro amico giorni fa: voglio il vento, quello che ti travolge senza darti il tempo di pensare. Ma attorno a me vedo solo persone che danno la priorità a se stesse, escludendomi. È brutto sentirsi esclusi, ci si sente inadeguati. E Dio solo da quante volte ho già dovuto fare i conti con un macogno così sul cuore. Dimmi che esiste chi un giorno mi metterà con le spalle al muro, mi farà sentire al sicuro, al riparo dal mondo intorno, anche se sarà una pia illusione. Non c'è chi si occupa di me e ne avrei tanto bisogno. Adesso ti saluto, devo lavorare. Mi ha fatto piacere parlare con te. E sono contenta che quando ti cerco, tu ci sei sempre.

11 nov 2014

novembre 11, 2014 - No comments

Ti prendo e ti porto via

 "Ma la spalla poi è caduta?"

"La palla?"
"La SPalla, la SPalla."
"La palla da mò. La spalla no, ma mi fa ancora male. Intanto è cascata altra roba."
"Cioè?"
"Ho una lesione allo stomaco. In verità ce l'ho da 16 anni, ma ora si è allargata. Ho fatto due nottate credendo fosse la cistifellea, sono andato in clinica e il chirurgo amico mio mi ha detto che tra poco mi ritrovo lo stomaco in bocca. Quindi dovrò fare una gastroscopia. In più madre e padre che nonostante io abbia 36 anni continuano a rompere il cazzo, a lavoro la solita solfa e l'università mi sta facendo impazzire. Devo solo discutere la tesi, ma c'è sempre qualcuno che mi precede. Intanto ho dovuto pagare la tassa anche per l'anno prossimo."
"Ma non è che devi ungere un po' l'ingranaggio?"
"Gliel'ho fatto capire, ma fanno finta di niente. E la cosa mi stressa parecchio. Quindi ho le viscere che si contorcono di continuo, cristoddio."
"Mi dispiace. Davvero."
"E secondo te perché non ti ho chiamata per un po'?"
"..."
"Tu come stai?"
"A parte che sento molto la tua mancanza, sempre uguale. Nano cresce, con tutte le conseguenze del caso. Confido nel fatto che possa iniziare il nido non appena inizierà a camminare. Ormai si alza in piedi anche senza sostegni, ma ricade subito di culo."
"Dev'essere uno spettacolo."
"Lo è."
"Il resto?"
"Ne parliamo un'altra volta, dai. Ti basti sapere che non me la sento e non riesco a capire perché. So che prima o poi prenderò il coraggio a quattro mani, e forse sarà troppo tardi, ma ora scappo. C'è qualcosa che mi blocca, è come se aspettassi uno schiocco di dita, un'iniziativa forte, una follia, una carezza. Anche tutte insieme, senza darmi modo di respirare e di pensare, soprattutto. Che se ho il tempo di ragionarci non lo faccio più. Voglio il vento, quello forte. Cadrò solo quando inizierà a soffiare e io smetterò di contorcermi."
"Idiota."
"Grazie."
"..."
"..."
"Ce ne dobbiamo andare. Io voglio andarmene. Vuoi venire?"
"Ma dove?"
"Ma che ne so. Londra, per esempio.  Apriamo un Pub napoletano a Londra. Dove si cucina la parmigiana di melenzane e si parla napoletano."
"E chi cazz c' ven?"
"Booh. Qualcuno ci verrà, dai. Gli fai la pasta e fagioli, te faccio vedè. Gli inglesi magnano 'na merda."
"Ma perché piuttosto non ce ne andiamo in uno di quei posti dove è sempre estate, le spiagge bianche, il mare cristallino."
"Umidità, zanzare..."
"Daaai! Apriamo un chiosco sulla spiaggia e vendiamo margaritas nelle noci di cocco."
"Ma dove sia, sia. Io sto seriamente valutando l'idea di scappare, non ce la faccio più. Ma tu vieni con me. Altrimenti non mi muovo. Poi vediamo i rimpianti, i rimorsi, i dubbi, come li farai affogare bene in una birra da quattro soldi."
"Prenditi 'sta cazzo di laurea, poi ne riparliamo."
"Mi pare giusto. Così ai turisti potrò dire che chi gli serve il pesce fritto è un avvocato, sai che marea di minchiate?"

2 nov 2014

novembre 02, 2014 - No comments

Sapessi come ti fa sentire sola la gente, quando hai bisogno di persone.

 Ho pensato che sarebbe stato giusto cominciare la mia prima lettera a te come se ci conoscessimo da sempre, come se fossimo carissimi, vecchissimi amici. Cioè l'opposto di quello che siamo. Tu un personaggio immaginario, io una povera disadattata. Almeno scrivendoti ho l'illusione di essere ascoltata, che c'è chi da importanza a quel che ho da dire, a ciò che ho dentro senza giudicarmi e soprattutto senza interrompermi o mettendo in primo piano le sue esigenze. Come invece accade con la stragrande maggioranza delle persone che "conosco". Non sono discorsi vittimistici i miei, intendiamoci. Tristemente realistici. Tu però non sei così. Non prometti, quindi non hai nulla da mantenere. Non mi hai mai detto che mi vuoi bene, quindi non li hai mai regalato aspettative. Non mi hai mai confidato i tuoi problemi, quindi non ho dovuto mettere da parte i miei problemi per dar credito ai tuoi. Non mi sono mai dovuta mettere da parte davanti a te. Ognuno dei due ha sempre conservato la propria individualità concedendosi, tuttavia, un pizzico di dualismo quasi sentimentale. E stai sicuro che specie nel momento in cui hai il cuore stropicciato, non chiedi altro che essere ascoltata. A me non succede. Ho provato ad analizzare il mio comportamento, a mettermi in discussione con me stessa, a domandarmi se sono io il problema. Eppure non sono riuscita a capirlo. Sapessi come ti fa sentire sola la gente, quando avresti solo bisogno di persone. Quando necessiti di un abbraccio o anche di una pacca sulla spalla o una carezza sulla testa. Un bacio, un pizzicotto sulla guancia. Soprattutto quando tu ne hai distribuiti senza riserve.

Nonostante tutto questo io non riesco a pensare che ora tocca a me, che ci sono io per prima. Continuo pedissequamente, come un programma, a dare, dare, dare e fare per gli altri. Per la gente, non per le persone. La stessa gente che nel momento in cui non dai o fai più ti volta le spalle, capovolgendo paradossalmente i ruoli. Ho provato ad essere meno educata, meno accondiscendente, meno me. Ma non ci riesco. Con questo non voglio dire che non riconosco le mancanze di rispetto e non so farmi valere quando serve, solo che non riesco a odiare. E quando non odi è solo perché hai troppo amore in corpo, come una costipazione. Quindi non appena ti si presenta l'occasione di offrirne non stai a pensarci, lo fai e basta. Ami, con tutto il cuore. Te lo scippi dal petto e lo regali, ogni volta. Solo che fino ad ora a me lo hanno restituito graffiato. Decidendo finanche per me se dovevo o meno continuare a provare dei sentimenti o se non ne valeva più la pena. Inutile aggiungere che è stato inutile: il telecomando il cuore non ce l'ha. E sarebbe pessimo se l'avesse, alla faccia dei cinici. Ed essere vittima di una decisione simile vuol dire solo patire ineguagliabilmente la mancanza di quel che credevi fosse. Perché tante volte non sono le persone a mancarci, quanto quel che credevamo fossero per noi. Come al solito io parlo, parlo, parlo. Mi succede quando mi sento a mio agio con qualcuno. E con te lo sono, con te che sei una persona che non esiste.