La cardarella è poliglotta. Translate!

2 lug 2012

luglio 02, 2012 - No comments

Io mi penso addosso

 «Adesso ti racconto un sogno. Così usciamo dalle bozze del blog e cominciamo a scrivere qualcosa di serio, vuoi?»

«Sì, ma non metterci troppo. E' già tardi. E domani c'ho da fare. Comincia. Io mi stendo sul divano col ventilatore puntato sui piedi che mi fa fresco.»
Il mio AlterEgo è venuta a trovarmi all'improvviso, anche stanotte. Si è arrampicata ed è entrata dalla finestra. Tutta affannosa e trafelata, non mi sembrava neanche lei. Appena arrivata è corsa in cucina e ha bevuto golosamente un bicchiere d'acqua. Tanta era la sete e la velocità con cui lo ingurgitava che si è bagnata la maglietta, il collo e i lati delle labbra. Si è pulita la bocca col bordo della manica e poi è venuta da me. 
«Cazzo fai ancora sveglia?»
«Penso.»
«Te l'ho sempre detto. Il tuo problema è che ti pensi addosso.»
Da parte mia, silenzio. Non sono mai stata in grado di contraddirla, quando aveva ragione. Anche perchè mentirei e lei se ne accorgerebbe. Una sola volta ho tentato di dirle una bugia. Scoppiò a ridere e venne a darmi uno scoppolone sulla nuca. Dopodichè, per lungo tempo, non venne a trovarmi. Mi mancò come ci si può mancare solo a se stessi. Quando me la ritrovai seduta accanto, che neanche l'avevo sentita arrivare (e stava pure per prendermi un infarto,  tipo quando stai pensando a centouna cose diverse e all'improvviso ti ritrovi qualcuno alle spalle)  mi disse solo: «Non farlo più.»
«Allora, questo sogno me lo racconti?»
«Hai ragione, scusa.»
Lei è ancora stesa sul divano, in attesa della fine delle mie divagazioni.
«Che tipo di sogno vorresti?»
«Non lo so. Sarei banale se ti dicessi di raccontarmene uno che mi tolga il sonno?»
«Credo di no. Solo mi chiedo una volta che non avrai più sonno che cosa farai.»
«Ti terrò compagnia.»
«Fino all'alba?»
«Bugiarda. Non ti svegli mica all'alba.»
«No, infatti. Domattina suonerà alle 7.30, quella maledetta.»
«E tu lasciala suonare.»
«Come sarebbe a dire?»
«Hai capito. Molla, per una volta. Molla la presa, attacca la spina. Quella che vuoi, non quella che ti fanno attaccare per forza.» 
«Magari fosse così facile. Lo sai che ho dei doveri.»
«Ma cristo di un dio! - Io la adoro quando bestemmia. Tanta è la sincerità con cui lo fa che mi sembra quasi vera. Vera per tutti, dico. Non solo per me. - Ti sei convenzionata a tal punto?»
«Non è che mi sono convenzionata, è che ho una vita.»
«Vuoi farmi ridere? La vita è quella che uno si sceglie, non quella che ti obbligano a fare.»
«E adesso come dovrei comportarmi, secondo te? Fare una  cosa tipo partire all'improvviso alla Muccino, alla soglia dei trent'anni e andare in Africa o fare il giro del mondo in camper?»
«Certo che no. Dico solo che dovresti ricordarti che esisti anche tu.»
«Ma io so di esistere. Sono qui, seduta sulla mia panchina in ferro battuto e tu stai stravaccata sul divano.»
«Errore. Io non sono stravaccata sul divano. Tu credi che io lo sia. Tu mi vedi. Il resto del mondo no. Cominciamo a dire le stronzate, mi  raccomando.»
«Va bene, e allora? Cosa cacchio dovrei fare?»
«Vivere. Ricordarti di te. Anche per un'ora al giorno. Giocare, gonfiarti il cuore di cose belle, fare il possibile per trovarle e infilartele a forza nel petto. Sentirlo scoppiare ridendo, tentare di essere. A volte basterebbe un caffè, guarda.»
Si è alzata dal divano, ha messo i pugni puntati sui fianchi con le braccia piegate e mi ha chiesto: «Ne hai?»
«Ma de che?»
«Di caffè.»
«Ma cazzarola, sono le 3.00 passate e tu vuoi un caffè?»
«Sì. Lo beviamo mentre mi racconti il sogno. Io lo sto ancora aspettando, ti faccio notare.»
«Ma non sarebbe meglio un tè freddo, con questo caldo?»
«No, fa venire la cistite. Dai, andiamo in cucina.»
Le ho fatto il caffè. A lei piace con molto zucchero. Io lo preferisco amaro.
Al primo sorso, fatto con la punta delle labbra per non scottarsi, mi ha detto: 
«Lo stai facendo un'altra volta.»
«Cosa?»
«Pensarti addosso.»
«Finiscila.»
«E' la verità, guarda. Hai tutti i pensieri sparsi sul pavimento di casa. Mi sei diventata incontinente.»
Per darle soddisfazione guardai per terra e effettivamente i nostri pedi erano in una pozza di parole. Ce n'erano ovunque. E si allargavano come una macchia d'olio. Ed erano parole di tutti i tipi, ma veloci come l'acqua che scorre. Percorrevano il pavimento della mia cucina come un fiume in piena. Non c'era modo di fermarle, erano come piccole piume al vento ed erano tutte leggibili. Alcune più grandi, altre più piccole. Ma erano lì, a bagnarmi la notte e a farmi camminare come in un'enorme pozzanghera. 
«E ora come faccio?», le ho chiesto.
«Ma a far che? mi chiese a sua volta dando l'ultimo sorso al caffè.»
«A riprendermi tutti questi pensieri che sono per terra!», ho esclamato disperata.
«Non puoi più. Non avresti dovuto pensarti addosso.»
«Ora vado, è tardi. E domani c'ho da fare.»
«Ma il sogno che avrei dovuto raccontarti?»
«L'hai già fatto. Ma impegnata com'eri con tutti questi pensieri rumorosi, presa come stavi dal chiederti come avresti potuto riprenderteli e rificcarteli in quella testa anzichè liberartene per sempre, neanche te ne sei accorta.»
«E' stato bello, almeno? Ti è piaciuto?»
«Era tuo, era sentito. Era insonne. Era bellissimo.»



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