La cardarella è poliglotta. Translate!

2 giu 2012

giugno 02, 2012 - No comments

Sola andata per uno

 Questa è una di quelle storie che vuoi pure raccontare, di quelle che hai provato a far uscire dalle dita parecchie volte. Ma che, ogni volta, è rimasta incastrata in un rantolo di cuore che ti ha tolto il respiro. 

E le parole ne hanno preso il posto. Riempiendo a caso lo spazio bianco. Qualcosa di indicibile. Ma è una storia che va detta, va spiegata. E che è solo per me. 
Anche perché, vedi, se storia ci fosse stata, avremmo saputo entrambi raccontarla. Ma inventarla dal niente è come creare un gomitolo di lana fatto di parole. Che si sgretolerà non appena qualcuno che non siamo tu o io, si metterà a leggere. 
Ma i sogni sono fatti anche di questo, forse. Di aspettative andate in frantumi per un'arditezza di troppo.
Ed è quando credevi di poterti permettere il peggiore dei lussi, che perdi. 
Con la stupidità di chi avrebbe voluto solo essere ascoltata durante un viaggio in treno. E quel viaggio c'è, ogni volta che mi approprio in silenzio di parole che non sono per me, ogni volta che le leggo salgo su quel treno. 
E ogni volta, sono senza biglietto.
E tu mi dici: "Sei la solita sbadata. Alla prossima stazione te lo compro io."
Ma io resto quella che osa, che va oltre la linea gialla mentre aspetta. Quella che si fa spettinare i capelli dall'arrivo del treno, che ama correre a nascondersi ogni volta che quell'uomo con la giacca blu e l'espressione annoiata fa il giro degli scompartimenti chiedendo i biglietti a tutti. 
E tu, tu sei quello che mi ha corso dietro fino a stancarsi. E' così. Tutti prima o poi di me si stancano. Perché a lungo andare anche l'adrenalina da noia. 
"Ma è la mia natura", disse lo scorpione. "E non posso farci niente."
"No, non comprare nessun biglietto. Voglio viaggiare senza."
"Ma guarda che a Milano così non riesci mica ad arrivarci."
"Devo mettermi alla prova, è più forte di me. Ti prego, assecondami."
"L'ho fatto così tanto che neanche me lo ricordo. Ma sappi che la libertà di far quel che cavolo ti pare, ha un costo. Se ti faranno scendere, non scenderò con te."
Ho accettato le condizioni con l'aria spavalda di chi ha creduto di averle addirittura dettate e mi sono seduta di fronte a te. 
E c'è stato un attimo, ricordo, uno solo, in cui ho creduto davvero di morire. Quando mi hai passato un dito sulla faccia e mi hai detto che dovevo scappare di nuovo, che l'uomo con la giacca blu stava venendo ancora a cercarmi. 
E quindi, niente. 
Neanche ho fatto in tempo ad annusarti la mano, che mi sono ritrovata nuovamente in fuga. 
E più mi salvavo, più mi allontanavo da te. Che eri rimasto seduto lì, dove ti avevo lasciato. 
La promessa era semplice. Tu non ti saresti mosso. Se fossi riuscita a tornare ti avrei trovato dov'eri. Ma se fossi scesa, mi sarei ritrovata da sola. 
Non c'è stato un bacio, non una carezza regalata come si è dovere, neanche la tua faccia sulla mia pancia ho potuto avere l'orgoglio di infilare nel baule dei ricordi. 
L'unico momento di beatitudine l'ho ottenuto quando ti ho visto seduto di fronte a me, pronto ad ascoltare le mie sciocchezze o a parlarmi del tuo affliggere un'emotività delicata. Dell'accanirti insensatamente contro te stesso, come ad espiare una colpa. 
E quel che non ho fatto in tempo a dirti è che colpa non c'è. Che colpa non c'è mai stata, se non nel tuo considerarti la persona peggiore al mondo.
Quando il destino mi ha catturata ed ha scoperto la mia mancanza, avrei solo voluto gridare con tutto il fiato che avevo in corpo il tuo nome sperando non mantenessi la promessa. 
Sperando che saresti venuto a prendermi, a sottrarmi dalla tua insopportabile assenza, da quel vuoto che avevo di fianco.
E invece sei rimasto seduto, a brontolare la mia stupidità.
Sono stata invitata a scendere ad una stazione della quale non ricordo il nome. 
Faceva caldo, l'aria era grigia. Pioveva malinconia. E neanche l'ombrello, avevo. 
Mi fissavi attraverso il vetro del finestrino scuotendo la testa, rimproverandomi con gli occhi di non essere riuscita a comportarmi come tu stesso, raramente, sei riuscito a farmi fare.
Il treno è ripartito lentamente e l'ultima cosa che ho visto è stata la tua faccia rabbuiata di rancore, pronto a guardare volti sconosciuti, a giocare con quelle stesse parole che prima mi ostinavo a rubare e conservare solo per me. 
Nessuna consapevolezza ha accompagnato il mio viaggio di ritorno. 
Nessuna carezza ha saputo ancora lenire la mia diffidenza.
E allora sono rimasta nascosta tra la folla. Sperando solo di non essere notata con la certezza di essere comunque nella tua stessa stanza. 
Piena di fumo, di gente chiacchierona, di inutilità utili allo scorrere del tempo. 
Ma che non servono a un cazzo, se vuoi destinarle a dimenticare un viaggio che non abbiamo mai fatto.