La cardarella è poliglotta. Translate!

28 feb 2012

febbraio 28, 2012 - No comments

Il cartello appeso al collo

 Sapete cosa vi dico?

Voglio restare quello che sono.
Con i miei guasti.
Sono stanco del senso di colpa in sottofondo, di pensare che c'è sempre qualcosa di sbagliato in me, qualcosa che dovrei fare e non faccio, qualche treno che ho perso, qualcosa d'importante che non ho ancora risolto.
Questo sono, va bene?
Sono fatto così, e non posso farci niente.
Nessuno può farci niente con se stesso e questo è quanto.
Io non mi piaccio, ma non voglio cambiare, okay?
Lasciatemi in pace.

(Diego De Silva - Mia suocera beve)

27 feb 2012

febbraio 27, 2012 - No comments

Nenia...mente.

 Ma sai che c'è? 

Che mi sono rotta il cazzo di fare l'adulta.
Mi sono scartavetrata i coglioni per stare appresso ai capricci di chi neanche avrebbe dovuto farne.
Sono stanca. Stanca fisicamente e con l'emotività a pezzetti.
E' come un'accozzaglia di brandelli di carne, che solo come spezzatino è buona da mangiare.
Mi sono scocciata. E non sto scherzando.
Ho le scatole piene di ascoltare i lamenti altrui, quando io non mi lamento mai.
Non mi va più di risolvere i vostri problemi, quando i miei neanche li vedete.
Sono stufa di inseguire le esigenze altrui, quando neanche te ne torna qualcosa. 
Neanche un grazie.
Non che si faccia per un tornaconto, ma manco essere poi trattata come l'ultima idiota o (ancor peggio) un sacco leggero
sul quale sfogarsi periodicamente.
Basta.
Ho le palle piene.
Il vaso è colmo.
La pazienza è finita.
Ho 28 anni e m'avete spremuta fino a farmene sentire 40.
Ora voglio provare a essere stronza.
Una bastarda taglia gole che se ne fotte di chiunque.
Anche di chi non mi ha fatto mai del male.
Tanto prima o poi me ne farà, è matematico.
Ora è arrivato il momento del sadismo. Di rasentare la cattiveria. 
E' arrivato il momento di chiudersi a riccio e fottersene.
Perchè così vi fottete voi.
Sai cosa?
Quando hai a che fare con due persone che dovresti prendere ad esempio perchè sono le prime che vedi in vita tua e poi
sono proprio quelle che ti deludono più di tutte, e quando poi passi dall'avere a che fare con loro, all'aver a che fare con 
chi non fa altro che piazzarti sulle spalle carichi di responsabilità, insicurezze, sfruttando il tuo innato senso del dovere, e se le cose
vanno male è solo colpa tua e quindi diventi soltanto un capro espiatorio o una valvola di sfogo delle frustrazioni, poi dici basta.
Prima o poi ti stanchi.
E io mo' mi sono rotta il cazzo.
Anzi, me l'avete rotto voi.
Fottetevi. Voi e i vostri bisogni di merda.
Se ai miei non badate affatto.
Da oggi sono tornata bambina.
Capricciosa, arrogante e stupida.
Voi fate quello che volete.
Per quanto mi riguarda potete anche buttarvi dal ponte.
Ma non sperate che io vi paghi il funerale.
Morite. Quando avete cinque minuti.
Non che io abbia intenzione di rompere le palle al prossimo, per carità.
Però, da oggi, io penso ai cazzi miei.

22 feb 2012

febbraio 22, 2012 - No comments

La cardarella a Carnevale

 Ieri, passeggiando, ho incontrato l'uomo della mia vita. 

Uno che ha capito i veri valori e si accinge a metterli in pratica. 
Uno che da senso immediato alle cose. 
Uno che sa cosa vuole e come ottenerlo. 
Uno che alza la cardarella. 
Uno che ancora quasi non è manco nato e già fa il fravecatore.

Ditemi: come posso non giurargli amore eterno?





Il bimbo raffigurato in foto si chiama Christian, ha compiuto due anni il sedici febbraio. 
L'idea di mascherarlo da fravecatore in occasione del Carnevale, è stata della nonna. 
Un genio. Idea economica, sublime, intelligente. 

Ringrazio tantissimo la mamma di Christian e le zie, che mi hanno permesso di caricare sul blog fotografie un attimino più decenti di quelle che gli ho scattato ieri sera, mentre era nel fravecatorcarrozzino.

Comunque ne sono sempre più convinta: se rinasco faccio il fravecatore.

14 feb 2012

febbraio 14, 2012 - No comments

Quando resti senza parole

 E che una come me resta senza parole, è tutto dire...


Guardate qua e non dite più che la neve non è utile. (ilbloggererrante.wordpress.com)




7 feb 2012

Ciò a cui nel cuore ben poco assomiglia

Non avrei potuto scriverlo in pochi caratteri o in uno spazio angusto. 
Che poi, a me, gli spazi stretti non sono mai piaciuti molto. 
Vedi, il punto è molto semplice. Ma articolato come un nodo da sciogliere. 
Non è tanto chi mi ha fatto così male da scalciarmi sullo stomaco come un mulo. Ma perché. 
Perché, visto che avrebbe solo dovuto proteggermi, abbracciarmi quando ne avevo bisogno, esserci anche in silenzio, anche da lontano. 
Avrebbe dovuto farmi vivere sapendo che era lì, per me. 
Ad accogliermi. Come una carezza sulla testa o una coperta da riscaldare col proprio corpo. 
Lei doveva esserci. Per scacciare via i cattivi pensieri. Non per cacciare via me dalla sua vita. 
Non per mettermi le mani addosso e scaricare come un macigno sulle mie spalle i suoi fallimenti. 
Lei doveva essere viva per me. Perché non le ho chiesto io, di vivere. 
E invece ieri mi ha lasciata cadere. 
Sono rimasta aggrappata al ciglio per troppo tempo, a parlare con lei che invece su quello stesso ciglio ci stava comodamente seduta. A fumare e guardare la Tv. Lei era al sicuro e questo mi bastava. Le avevo creato io, quel rifugio. L'ho voluto, l'ho pagato col sangue e l'amore. Solo per lei. L'ho mantenuto.
Era il saperla al riparo da qualsiasi problema, che mi manteneva in equilibrio. 
E non mi aspettavo di certo che a schiacciarmi le nocche sotto i tacchi, sarebbe stata proprio lei...
Però l'ha fatto. E non mi ha trattenuta. Anzi, mi ha guardata precipitare come se stesse osservando la scena di un reality pulp e di seconda serata. 
Quando mi sono rialzata, ho cercato di farla ragionare. Ho tentato disperatamente di farle capire che tento di aiutarla, per quanto posso. E invece lei ha preso la carcassa che restava del mio affetto filiale e l'ha scaraventata di nuovo via, come se fosse stato un rifiuto maleodorante e datato. 
Avresti dovuto vedermi, sembravo una bambina col mal di gola che l'unica parola che sa dire quando sta male è: "Mamma..." 
Non ripetevo altro. 
Ma non parlavo con lei. Parlavo con quel che credevo lei fosse per me.
E allora ho guidato fino a sfiancarmi, come se avessi avuto una meta da raggiungere o qualcuno da cercare. Con quelle parole che mi risuonavano nella testa, senza interruzione. 
Si da troppo per scontato, negli affetti. 
Se un giorno mi avessero detto: "Tua madre una sera ti dirà di andartene e non farti più vedere." forse avrei riso con un po' di angoscia. Ma non c'avrei creduto completamente.
Perché davo appunto per scontato che lei si sarebbe comportata da madre e non da essere umano. E' vero, hai ragione. Una madre è un essere umano, ma riesce a mettere da parte il proprio ego, i propri egoismi e a tener conto del fatto che anche una figlia, è un essere umano?
Ora tutto quello che vorrei dirle è che mi dispiace. Ma che non ho potuto far di più, fino ad ora.
Ho provato, ma ho fallito.
E che se in quel rifugio è entrata qualche goccia d'acqua per una crepa al soffitto della quale non mi sono accorta, mi sento pericolosamente in difetto.
Con la consapevolezza che, ora, non ho veramente più nessuno, al mondo.
Chi banalizzerà penserà che si tratta di una bufera che lascia del fango per terra e un cielo chiaro da guardare. Ma chi subisce se le porta nello stomaco, quelle lame. 
Che un giorno faranno ruggine, ma saranno sempre lì. 
A ricordati che anche chi credi debba amarti gratuitamente, si assenta. 
Ed è quell'amore che ancora provi, che non sopporti, perché se riuscissi ad odiare con cinica indifferenza sarebbe decisamente più semplice, ad averti disarmata. Ad averti portata a subire, a guardare con sconcerto chi ti graffiava il cuore. 
E allora decidi che quel soffio di vento resta l'unica cosa dolce vissuta ieri. 
E gli vai incontro, lasciando che ti accarezzi la faccia.
Ed è l'unica compagnia capace di rassicurarti. 
Paradossalmente così vicina, da sembrare l'abbraccio che ieri non hai avuto.




3 feb 2012

febbraio 03, 2012 - No comments

Il disinformatico un'altra magagna di Giggino.

 Ieri, secondo giorno di febbraio.


«Terè!»
Quando mio padre esordisce una telefonata così, senza dire una cosa tipo: "Uè figliabbella!" oppure "Bbell'appapà!", ho fatto qualcosa. E sinceramente, mai come ieri mattina, ero convinta che fosse arrivata una multa, che mi avessero acchiappata gli autovelox sull'Appia, che fosse giunto tra le sue mani non so come un avviso di garanzia, una condanna in contumacia o che mi fossi scordata di pagare qualcuno.
«Paaaapiii...!», ho risposto. Il finto entusiasmo va esplicato strascicando rigorosamente l'ultima vocale.
«Aiutami, sto nella merda!»
Paradossalmente mi so' calmata. Sì perchè se nella merda ci stava lui, non ci stavo io. Cioè se aveva detto così era sicuro che non mi aspettava una mazziata...
Eh ma che volete da me, quell'è un'equazione. E chi si salva è il mio deretano. Certo, non cosa da poco...
«Ma che è successo?»
«Agg' fatt'un bordello!»
«Ma ti hanno acchiappato due femmine con un'altra e hai abbuscato?»
«No, peggio.»
«Ti hanno fatto firmare un foglio in bianco e poi sopra ci hanno scritto che sei un berlusconiano e lo sarai fino alla morte?»
«No, no!
»
«Ti hanno detto che ti devi far tagliare le palle, papà?»
«No...» ha risposto lui abnegando qualsiasi motivo grave e realistico di depressione, con voce depressa.
A quel punto, il principio d'infarto che mi stava cogliendo, s'è sciolto nell'acido. Qualsiasi cosa fosse successa, escludendo quelle succitate, era reparabile.
«Che è successo, allora?»
«No, ma chill' è venuto uno che lavora qua - Per chi non lo sapesse, mio padre fa le pulizie al centro direzionale di Napoli. - e mi ha chiesto di pulirgli la tastiera del computer quando avevo due minuti. Ma chella tastiera facev' veramente schifo. Cioè i tasti non si vedevano tanta era la zuzzimma che ci stava sopra. Mò siccome era una tastiera vecchia, che era prima stata usata da un altro, poi da un altro, poi non so da chi e poi da lui, io so che questi non hanno il tempo nemmeno di andare a pisciare e quindi ho pensato che chiossap' quante briciole e fetenzia ci stavano, in mezzo ai tasti...»
«E quindi?!», ho domandato terrorizzata ben sapendo cosa accade a una tastiera datata.
«L'ho arrevacata!»
«Embè?»
«Da dentro ci sono usciti Pasqua e Natale del '92. Pure nu piezz' e capretto, la verità. Ma il problema è che si sono staccati tutti quei sfaccimma di tasti! Solo pochi so' rimasti azzeccati! - Intanto io cominciavo a mettermi le mani in fronte e chiudere gli occhi - E mò non so come acconciarla. Non la posso nemmeno ammacchiare perchè me la vedrebbero e chist' tra un'ora sta un'altra volta qua a va trovando la tastiera pulita. Io non solo non gliel'ho pulita, ma ce l'agg' pur' scassat'!»
«Stai calmo.» ho detto mentre mi avviavo per raggiungerlo. Tanto la mia mattinata e tutti i progetti che avevo, ormai, erano andati a puttane.
«Si, ma quello poi io pensavo che tu li conosci a memoria le tastiere, quindi potevi venire qua e l'aggiustavi tu.»
«Papà io le tastiere non le conosco a memoria. Ancor di più se consideri che spesso ognuna è diversa dall'altra. Io sto venendo. Ma tieni conto che sto a piedi. La moto l'ho lasciata a Formia - errore del quale mi pentirò per il resto dei miei giorni - e la macchina non la schiommo nemmeno se mi danno una cosa di soldi. Quindi devi aspettà. Tu intanto cerca di trovare una tastiera come quella, così quando arrivo la rimettiamo a posto prima.»
«Ok, ma fa ambress!»
Partendo dal presupposto che gli autobus a Napoli non passano mai, che in quel momento non ero nè moto nè auto munita, ho realizzato in un attimo di lucidità che non mi trovavo eccessivamente lontana dal Centro Direzionale e che, senza intalliarmi, avrei potuto raggiungerlo a piedi. E così ho fatto. Tempo un quarto d'ora scarso e stavo lì, con lui. A fare il funerale con gli occhi alla tastiera scassata. C'erano anche le briciole di pane, sulla scrivania, a dare l'ultimo saluto alla compagna di una vita. Erano delle signore, quelle briciole. Non un lamento, non un pianto fastidioso. Rispettavano il dolore di tutti. Tutti erano in cordoglio. Tranne Giggino che bestemmiava come un animale: «Mannagg' a maronn a me e a chi m'ha fatt' fa!»
«Ma l'hai procurata un'altra tastiera  per fare il confronto?», ho chiesto come se avessimo dovuto fare l'analisi del DNA sperando di trovarne uno diverso e quindi sgamare l'assassino.
«No, macchè! Acconciala appapà, jà!». Quando me l'ha detto per l'ennesima volta stava per piangere.
Non mi sono abbandonata ad un sconfortante maronn' e mò come faccio? perchè altrimenti mio padre si sarebbe dato sicuro capa e muro. Ma mi sono ricordata che a casa, nascosta da qualche parte, dovevo avere una tastiera identica. Avete presente quelle tastiere vecchie, bianche, coi tasti che quando li pigi nulla hano di futuristico? Sì, anche dal rumore che fanno i tasti pigiati ti accorgi se la tastiera è vecchia o no. Almeno nella mia testa. L'ho detto a Giggino, di averne una uguale. Il suo volto si è illuminato, come se avesse visto un'entità celeste, avesse vinto una cosa di soldi o avesse scansato una saittella per non inciampare. A volte a Napli le saittelle sono il demonio. Ora tutto a posto, direte voi...E invece le parole più preoccupanti che ho scritto fino ad ora sono state nascosta da qualche parte. Perchè io l'avevo. Sapevo di averla. Ma non sapevo dove minchia fosse. E questo remava non poco a mio sfavore visto che avevo i minuti contati. 
Ho evitato di dirlo a Giggino. Ormai nei cazzi storti mi ci ero messa da sola. E da sola dovevo uscirne.
«Vall'a prendere, vien' cu mme!», non ha fatto neanche in tempo a finire la frase, mio padre, che già stavamo giù a corrompere la guardia giurata con caffè e cornetto affinchè mi prestasse un attimo la moto per correre a casa. Arrivo, saluto i quadrupedi festosi e comincio a cercare. Mi ha detto veramente culo perchè l'ho trovata praticamente dopo cinque minuti. Candida, anche se non illibata, non ha opposto resistenza quando l'ho infilata dentro una busta di plastica e trattenuta come ostaggio per la mia salvezza. Raggiungo nuovamente mio padre, consegno la moto al legittimo proprietario che stava già preparando corda e scannetiello per impiccarsi, presumendo un incidente e la sua motocicletta in frantumi. Del mio cranio si preoccupano in pochi.
Risalgo da mio padre che intanto stava purificando l'ambiente dalla seccia con l'incenso e la scatolina di latta. Gli mancavano solo gli occhiali tondi neri, il bastone e lo scartiello, la verità. Metto la tastiera integra sulla scrivania, ammacchio quella scassata nella busta,  e nell'istante in cui mio padre prende la tastiera che gli ho portato decidendo di darle una lavata di faccia, entra in quella stanza la grandissima lota che aveva chiesto a Giggino di pulire quello scempio sul quale poggiava i polpastrelli. E trova patemo co' 'sta tastiera in mano e il panno, dall'altra parte. Manco saluta, s'avvia convinto verso l'aggeggio ed esclama: «Maronn' Pinto! - guardando mio padre - Lo sapevo che solo voi potevate tanto! E' tornata nuova! Non so come ringraziarvi! Vi posso offrire un caffè?»
Mio padre, che a quel punto altro non poteva fare se non lo splendido, s'è abboffato a tipo gallo cedrone. Contento e pieno di sè. Anche se non aveva fatto un cazzo. «Grazie, grazie.», ha detto sorridendo a 344 denti.
Intanto io cercavo di nascondere la busta che conteneva il cadavere della tasteira precedente.
«Abbè, papà. Io mò me ne vado.»
«Uh Pinto - fa il madonna - Ma questa è vostra figlia?»
Mio padre annuisce.
«Permette?» e mi porge la mano come per stringere la mia. 
Scendiamo, prendiamo il caffè - come se l'adrenalina che avessi ancora in corpo non bastasse - e cerco di dileguarmi in fretta dalla morsa di domande che quel 40enne cercava di cingermi tra mani e piedi. 
Mio padre capisce e all'orecchio mi fa: «Chist' è separato. Ma sta pieno di soldi e figli non ne tiene.», raggelandomi in un imbarazzo che manco vi sto a raccontare. 
Mentre il tizio continuava a squadrarmi, ho glissato qualsiasi spunto di conversazione dicendo: «Senti papà io adesso me ne vado che c'ho da fare. Ti chiamo in questi giorni.»
Saluto l'ignaro possessore della mia vecchia tastiera, abbraccio mio padre e mi avvio verso l'uscita con le mani in tasca.  
Più o meno un'oretta dopo Giggino mi chiama: «Ti ho fatto fare una ricarica al cellulare di 10,00 Euro dal terminale, appapà, l'hai ricevuta?» In effetti mi era arrivato un sms, ma non lo avevo ancora letto. «Sì, papà. Grazie.» 
«Eh, mi pare il minimo. Te lo fatta fare da chillu strunz' che s'è pigliato la tastiera tua.», ha detto con voce soddisfatta come se lo avesse pigliato per il culo una seconda volta.
«Maronn' papà. Ma non potevi andare da qualcun'altro o in tabaccheria?»
«Uhggesù e perchè? Poi che sfizio c'era?»
«C'era lo sfizio che quello mò non aveva il numero mio!»

No, ma io se rinasco faccio il fravecatore...

febbraio 03, 2012 - No comments

Il disinformatico

Ieri, secondo giorno di febbraio. 

«Terè!»
Quando mio padre esordisce una telefonata così, senza dire una cosa tipo: "Uè figliabbella!" oppure "Bbell'appapà!", ho fatto qualcosa. E sinceramente, mai come ieri mattina, ero convinta che fosse arrivata una multa, che mi avessero acchiappata gli autovelox sull'Appia, che fosse giunto tra le sue mani non so come un avviso di garanzia, una condanna in contumacia o che mi fossi scordata di pagare qualcuno.
«Paaaapiii...!», ho risposto. Il finto entusiasmo va esplicato strascicando rigorosamente l'ultima vocale.
«Aiutami, sto nella merda!»
Paradossalmente mi so' calmata. Sì perchè se nella merda ci stava lui, non ci stavo io. Cioè se aveva detto così era sicuro che non mi aspettava una mazziata...
Eh ma che volete da me, quell'è un'equazione. E chi si salva è il mio deretano. Certo, non cosa da poco...
«Ma che è successo?»
«Agg' fatt'un bordello!»
«Ma ti hanno acchiappato due femmine con un'altra e hai abbuscato?»
«No, peggio.»
«Ti hanno fatto firmare un foglio in bianco e poi sopra ci hanno scritto che sei un berlusconiano e lo sarai fino alla morte?»
«No, no!»
«Ti hanno detto che ti devi far tagliare le palle, papà?»
«No...» ha risposto lui abnegando qualsiasi motivo grave e realistico di depressione, con voce depressa.
A quel punto, il principio d'infarto che mi stava cogliendo, s'è sciolto nell'acido. Qualsiasi cosa fosse successa, escludendo quelle succitate, era reparabile.
«Che è successo, allora?»
«No, ma chill' è venuto uno che lavora qua - Per chi non lo sapesse, mio padre fa le pulizie al centro direzionale di Napoli. - e mi ha chiesto di pulirgli la tastiera del computer quando avevo due minuti. Ma chella tastiera facev' veramente schifo. Cioè i tasti non si vedevano tanta era la zuzzimma che ci stava sopra. Mò siccome era una tastiera vecchia, che era prima stata usata da un altro, poi da un altro, poi non so da chi e poi da lui, io so che questi non hanno il tempo nemmeno di andare a pisciare e quindi ho pensato che chiossap' quante briciole e fetenzia ci stavano, in mezzo ai tasti...»
«E quindi?!», ho domandato terrorizzata ben sapendo cosa accade a una tastiera datata.
«L'ho arrevacata!»
«Embè?»
«Da dentro ci sono usciti Pasqua e Natale del '92. Pure nu piezz' e capretto, la verità. Ma il problema è che si sono staccati tutti quei sfaccimma di tasti! Solo pochi so' rimasti azzeccati! - Intanto io cominciavo a mettermi le mani in fronte e chiudere gli occhi - E mò non so come acconciarla. Non la posso nemmeno ammacchiare perchè me la vedrebbero e chist' tra un'ora sta un'altra volta qua a va trovando la tastiera pulita. Io non solo non gliel'ho pulita, ma ce l'agg' pur' scassat'!»
«Stai calmo.» ho detto mentre mi avviavo per raggiungerlo. Tanto la mia mattinata e tutti i progetti che avevo, ormai, erano andati a puttane.
«Si, ma quello poi io pensavo che tu li conosci a memoria le tastiere, quindi potevi venire qua e l'aggiustavi tu.»
«Papà io le tastiere non le conosco a memoria. Ancor di più se consideri che spesso ognuna è diversa dall'altra. Io sto venendo. Ma tieni conto che sto a piedi. La moto l'ho lasciata a Formia - errore del quale mi pentirò per il resto dei miei giorni - e la macchina non la schiommo nemmeno se mi danno una cosa di soldi. Quindi devi aspettà. Tu intanto cerca di trovare una tastiera come quella, così quando arrivo la rimettiamo a posto prima.»
«Ok, ma fa ambress!»
Partendo dal presupposto che gli autobus a Napoli non passano mai, che in quel momento non ero nè moto nè auto munita, ho realizzato in un attimo di lucidità che non mi trovavo eccessivamente lontana dal Centro Direzionale e che, senza intalliarmi, avrei potuto raggiungerlo a piedi. E così ho fatto. Tempo un quarto d'ora scarso e stavo lì, con lui. A fare il funerale con gli occhi alla tastiera scassata. C'erano anche le briciole di pane, sulla scrivania, a dare l'ultimo saluto alla compagna di una vita. Erano delle signore, quelle briciole. Non un lamento, non un pianto fastidioso. Rispettavano il dolore di tutti. Tutti erano in cordoglio. Tranne Giggino che bestemmiava come un animale: «Mannagg' a maronn a me e a chi m'ha fatt' fa!»
«Ma l'hai procurata un'altra tastiera  per fare il confronto?», ho chiesto come se avessimo dovuto fare l'analisi del DNA sperando di trovarne uno diverso e quindi sgamare l'assassino.
«No, macchè! Acconciala appapà, jà!». Quando me l'ha detto per l'ennesima volta stava per piangere.
Non mi sono abbandonata ad un sconfortante maronn' e mò come faccio? perchè altrimenti mio padre si sarebbe dato sicuro capa e muro. Ma mi sono ricordata che a casa, nascosta da qualche parte, dovevo avere una tastiera identica. Avete presente quelle tastiere vecchie, bianche, coi tasti che quando li pigi nulla hano di futuristico? Sì, anche dal rumore che fanno i tasti pigiati ti accorgi se la tastiera è vecchia o no. Almeno nella mia testa. L'ho detto a Giggino, di averne una uguale. Il suo volto si è illuminato, come se avesse visto un'entità celeste, avesse vinto una cosa di soldi o avesse scansato una saittella per non inciampare. A volte a Napli le saittelle sono il demonio. Oratutto a posto, direte voi...E invece le parole più preoccupanti che ho scritto fino ad ora sono state nascosta da qualche parte. Perchè io l'avevo. Sapevo di averla. Ma non sapevo dove minchia fosse. E questo remava non poco a mio sfavore visto che avevo i minuti contati. 
Ho evitato di dirlo a Giggino. Ormai nei cazzi storti mi ci ero messa da sola. E da sola dovevo uscirne.
«Vall'a prendere, vien' cu mme!», non ha fatto neanche in tempo a finire la frase, mio padre, che già stavamo giù a corrompere la guardia giurata con caffè e cornetto affinchè mi prestasse un attimo la moto per correre a casa. Arrivo, saluto i quadrupedi festosi e comincio a cercare. Mi ha detto veramente culo perchè l'ho trovata praticamente dopo cinque minuti. Candida, anche se non illibata, non ha opposto resistenza quando l'ho infilata dentro una busta di plastica e trattenuta come ostaggio per la mia salvezza. Raggiungo nuovamente mio padre, consegno la moto al legittimo proprietario che stava già preparando corda e scannetiello per impiccarsi, presumendo un incidente e la sua motocicletta in frantumi. Del mio cranio si preoccupano in pochi.
Risalgo da mio padre che intanto stava purificando l'ambiente dalla seccia con l'incenso e la scatolina di latta. Gli mancavano solo gli occhiali tondi neri, il bastone e lo scartiello, la verità. Metto la tastiera integra sulla scrivania, ammacchio quella scassata nella busta,  e nell'istante in cui mio padre prende la tastiera che gli ho portato decidendo di darle una lavata di faccia, entra in quella stanza la grandissima lota che aveva chiesto a Giggino di pulire quello scempio sul quale poggiava i polpastrelli. E trova patemo co' 'sta tastiera in mano e il panno, dall'altra parte. Manco saluta, s'avvia convinto verso l'aggeggio ed esclama: «Maronn' Pinto! - guardando mio padre - Lo sapevo che solo voi potevate tanto! E' tornata nuova! Non so come ringraziarvi! Vi posso offrire un caffè?»
Mio padre, che a quel punto altro non poteva fare se non lo splendido, s'è abboffato a tipo gallo cedrone. Contento e pieno di sè. Anche se non aveva fatto un cazzo. «Grazie, grazie.», ha detto sorridendo a 344 denti.
Intanto io cercavo di nascondere la busta che conteneva il cadavere della tasteira precedente.
«Abbè, papà. Io mò me ne vado.»
«Uh Pinto - fa il madonna - Ma questa è vostra figlia?»
Mio padre annuisce.
«Permette?» e mi porge la mano come per stringere la mia. 
Scendiamo, prendiamo il caffè - come se l'adrenalina che avessi ancora in corpo non bastasse - e cerco di dileguarmi in fretta dalla morsa di domande che quel 40enne cercava di cingermi tra mani e piedi. 
Mio padre capisce e all'orecchio mi fa: «Chist' è separato. Ma sta pieno di soldi e figli non ne tiene.», raggelandomi in un imbarazzo che manco vi sto a raccontare. 
Mentre il tizio continuava a squadrarmi, ho glissato qualsiasi spunto di conversazione dicendo: «Senti papà io adesso me ne vado che c'ho da fare. Ti chiamo in questi giorni.»
Saluto l'ignaro possessore della mia vecchia tastiera, abbraccio mio padre e mi avvio verso l'uscita con le mani in tasca.  
Più o meno un'oretta dopo Giggino mi chiama: «Ti ho fatto fare una ricarica al cellulare di 10,00 Euro dal terminale, appapà, l'hai ricevuta?» In effetti mi era arrivato un sms, ma non lo avevo ancora letto. «Sì, papà. Grazie.» 
«Eh, mi pare il minimo. Te lo fatta fare da chillu strunz' che s'è pigliato la tastiera tua.», ha detto con voce soddisfatta come se lo avesse pigliato per il culo una seconda volta.
«Maronn' papà. Ma non potevi andare da qualcun'altro o in tabaccheria?»
«Uhggesù e perchè? Poi che sfizio c'era?»
«C'era lo sfizio che quello mò non aveva il numero mio!»

No, ma io se rinasco faccio il fravecatore...